NINO IRATO SI E’ SPENTO IERI MATTINA, DOMENICA, MENTRE SU MILAZZO imperversava un temporale. Vecchio collega di lavoro, negli anni della Petrochemical, quarant’anni fa, apprendo oggi la notizia e sento un vuoto immenso. E ripenso agli anni dei nostri viaggi giornalieri in Calabria, dall’alba al tramonto, e pur di tornare a casa dove ci attendevano le famiglie, i figli piccoli, gli affetti, preferivamo fare una levataccia nel cuore della notte e giungere in autobus fino a Messina, quindi prendere il traghetto per Villa San Giovanni, e da lì proseguire fino al cantiere. Dopo le otto ore e la pausa pranzo, ci attendeva il percorso inverso, per riprendere il giorno dopo lo stesso monotono viavai.
Nino era uno dei preferiti per i cantieri all’estero, per la sua bravura e la serietà che metteva nel lavoro. Il rientro a casa avvenne proprio in occasione della nascita del terzo figlio, Giuseppe, nel 1979. Desiderava un po’ di riposo, Nino. E rimanere assieme alla famiglia, per godersi di più quel piccolino, terzo dopo Francesco e Stefania, e al tempo stesso stringersi attorno ai suoi cari, anche se per poche ore al giorno. Ma tanto bastava! Poi, alla chiusura del cantiere in Calabria, me lo vidi “spuntare” in Abruzzo, a San Salvo. Anche lì si stava ricreando l’atmosfera di casa, poichè eravamo in tanti di Milazzo a essere stati mandati a realizzare un impianto trattamento Gas nella centrale AGIP di Cupello: oltre a me c’erano Stefano Anania, Paolo Rondone, Pippo Stagno, Franco Martinis, Franco Salmeri, Pippo Maio; e altri ne sarebbero arrivati… E mentre per noi più giovani c’era la famiglia, portata al seguito in quella terra che ci aveva accolto per meno di un anno della nostra vita, chi era solo teneva i contatti con la casa lontana… In assenza di cellulari, di siti internet, di whatsapp c’era solo la cabina telefonica. Anzi, il telefono del bar Onofrillo (ancora oggi ricordo il nome), che non era attaccato alla parete, ma alla portata di tutti, posizionato su un tavolinetto rotondo: quello con il ripiano in metallo e tre piedi!
Non esisteva nemmeno la privacy, allora, ed ognuno ascoltava quel che ognuno diceva a chi riceveva la telefonata. Ma le telefonate che più delle altre ricordo, e non solo io, erano quelle che Nino faceva alla moglie: interminabili, e proprio per questo chi stava in fila si avvicinava sollecitandolo e facendogli segno con la mano di … stringere. Ma lui non si curava di noi; con la mano aperta ci faceva segno di aspettare; o con il dito alzato indicava che avrebbe perso ancora un minuto; e quando non si trattava di un minuto, sempre con la mano faceva cenno di allontanarci, come se volesse essere lasciato in pace! Giuseppe, il figlio piccolo, destinatario di queste telefonate, non ricorda nulla dei dialoghi che il papà faceva con lui… e magari leggendo queste mie testimonianze, sorriderà. Così come sorrideranno gli altri figli, i quali a turno venivano avvicinati dalla madre al telefono per salutare papà, lontano. Il dialogo con il figlio piccolo, che all’epoca (era il 1980) non aveva nemmeno compiuto un anno, era quello che rubava più tempo. E i sussurri, i sorrisi, gli inviti a pronunciare quella sillaba ripetuta due volte, pa-pà, ci divertivano ma si protraevano più del dovuto. Ma non importava nulla, sapevamo l’amore che ogni padre nutre per i figli, ma ci suggerivano di stuzzicarlo, per cedere il posto ad altri che a loro volta attendevano e avevano degli orari prefissati per parlare con chi era a casa… Alla fine si alzava sorridente, Nino. E noi lì a chiedere notizie sui progressi che il figlio avrebbe dovuto fare… “Allura, Ninu, chi fa ‘u picciriddu? Già camìna? Ti chiamò? Chi ti dissi?”… mentre lui sprizzava felicità da tutti i pori… e si allontanava dal bar, lasciando quella sedia, quel telefono, a chi si sarebbe intrattenuto solo per pochi minuti…
Al rientro a Milazzo, i vecchi colleghi di lavoro si incontravano di tanto in tanto. Da allora, tanti anni sono passati… i nostri figli sono grandi, ci hanno dato dei nipoti, e i tempi della Petrochemical sono ormai lontani… Nino era rimasto vedovo, purtroppo…
Qualche giorno fa mi incontrai con uno dei vecchi colleghi di ieri. Parlando del più e del meno, il discorso cadde sui cantieri fatti lontano da casa… Altri tempi, eravamo giovani… quindi si snocciola il lungo elenco di amici che lavoravano con noi, conditi dai “Ti ricordi”… Sciotto, Castellano, Anania, Paolo Rondone, Andrea Amato, Stagno, Salmeri… Stefano Bruno, Ciccio Bella… no, Ciccio non c’è più. Nemmeno Pippo Aversa; e nemmeno Sciacca, Aragona, Ciccio Recupero, Sinibaldi, e tanti altri… se ne sono andati via per sempre.
Da ieri nemmeno Nino Irato, è andato a trovarli. Avevano qualche cantiere da fare, lassù, e lo hanno chiamato. Lui era già pronto con la sua valigia piena di sogni, come ieri… come sempre! Il temporale era cessato… il viaggio sarà più sereno…
Ciao, Nino… Bei tempi, quelli… Verremo anche noi in quel cantiere… e allora ci ritroveremo, caro vecchio amico.