UN TUFFO NEL PASSATO, FRA I PROTAGONISTI DI UNA MILAZZO D’ALTRI TEMPI. IN QUEGLI ANNI TROVIAMO PERSONE SEMPLICI, UMANE, AMOREVOLI…
In vico Banditore, di fronte alla signora Turilla, abitava un’altra delle nonne della Sena. Il suo nome, Febronia, suonava strano per noi, e tradiva un’origine non milazzese. La signora Febronia conosceva per filo e per segno tutti quelli che abitavano non solo nella Sena, ma anche in altre strade di Milazzo. C’era un motivo: erano in tanti a rivolgersi a lei perché era fra le poche che, in quegli anni, sapessero fare le punture! Uomini e donne, grandi e piccoli, qualunque fossero le malattie che contraevano, dal semplice raffreddore all’influenza, la prescrizione medica era, nella maggior parte dei casi, la puntura! Per fare la quale si ricorreva ad una siringa di vetro, che in casa dell’ammalato veniva sterilizzata mediante la bollitura su un fornello dell’apposito contenitore in alluminio. Una volta ultimata questa operazione, che per guadagnare tempo quasi sempre precedeva l’arrivo della signora Febronia, la siringa veniva “montata” (era infatti composta da due pezzi: un cilindro raramente graduato, all’interno del quale doveva scorrere l’altro pezzo, uno stantuffo, per iniettare il liquido) e alla fine inserito un ago. Era proprio l’ago che ci terrorizzava! Seguivamo con curiosità le operazioni consuete che la signora Febronia ripeteva giornalmente: spezzava con facilità la fiala, spesso mescolava il liquido contenuto in questa con la boccettina di penicillina, quindi agitava con forza. Alla fine, ci rendevamo conto che era arrivata l’ora tanto temuta. Con decisione ci ordinava di abbassare il pigiama per scoprire la parte posteriore, chiedendo, a noi che avremmo dovuto ricordarlo meglio, da quale lato aveva fatto la puntura il giorno prima; quindi strofinava con un batuffolo di cotone imbevuto di alcol la parte che, qualche istante dopo, avrebbe colpito con quell’ago, iniettando il siero per accelerare la guarigione. Facevamo di tutto per ostentare un coraggio che non avevamo, ma riuscivamo a mascherare bene le nostre ansie, poiché al momento in cui penetrava l’ago, emettevamo solo un gemito e mai un urlo. Per finire, un’ulteriore vigorosa strofinata sulla parte colpita, che precedeva il sorriso che vedevamo stampato sulla sua faccia, per rassicurarci: l’operazione era terminata, per nostra fortuna! Senza dilungarsi in convenevoli per non perdere tempo, la signora Febronia salutando si dirigeva verso l’uscita, per continuare il suo giro e fissava l’appuntamento al giorno successivo. Altre ventiquattro ore di attesa, per dare al malato il tempo di prepararsi adeguatamente, e sperare che quel martirio finisse presto! Per chi aveva già concluso quella fastidiosa ma necessaria terapia, il commiato e l’appuntamento a quando ce ne sarebbe stato bisogno, senza che mai da parte sua ci fosse la pretesa di ricevere un compenso anche minimo per la sua disponibilità.
… La signora Febronia ha passato gli ultimi anni della sua vita nella casa di riposo di Padre Catanzaro, in via Scopari, a Vaccarella, senza tuttavia perdere la lucidità nonostante fosse già avanti negli anni. E il Signore l’ha chiamata a sé quando aveva superato il secolo di vita! Un bellissimo traguardo, per la signora Febronia, che nella sua vita si era prodigata per alleviare le sofferenze di migliaia di persone che si rivolgevano a lei.
DAL LIBRO “ALTRO GIRO, ALTRA CORSA”, Edizioni Lombardo, MIlazzo, 2020
Commenti