Protagonista di tante battaglie che racchiudono il senso della sua vita, la sua vicinanza ad un ideale, la sua difesa del popolo degli sfruttati, degli emarginati, degli oppressi, Tindaro La Rosa fu un Comunista della prima ora, prese la tessera del partito nel 1943, a 19 anni, e da allora iniziò la sua attività politica che lo portò addirittura ad interrompere gli studi universitari ad un passo dal traguardo in giurisprudenza! Nonostante ciò, Tindaro La Rosa era ritenuto “avvocato” per la sua profonda conoscenza delle leggi, e così lo chiamavano tutti; ma lui preferiva essere chiamato per nome, da chi lo conosceva e conduceva le sue stesse lotte, “compagno”!
Erano gli anni del dopoguerra, ed il compagno Tindaro, segretario della locale Camera del Lavoro e dirigente del Partito, guidava le lotte contadine, impegnandosi maggiormente difendendo i diritti delle gelsominaie, centinaia e centinaia di donne che venivano portate nei campi, nel cuore della notte, per raccogliere in condizioni di estremo disagio i fiori che sarebbero successivamente stati trasportati in distilleria per diventare costosissimi profumi! Eletto consigliere comunale nel 1946, vi rimase per 45 anni, tranne una breve parentesi che nel 1959 lo vide consigliere provinciale.
“… immagine di consigliere corretto ed onesto sempre pronto a difendere i propri ideali nel rispetto degli interessi della città”: questo venne inciso su una targa che gli fu consegnata nel 1986, per i suoi 40 anni di attività consiliare (vedi foto di Oggi Milazzo accanto al titolo). L’anno successivo sfiorò il seggio senatoriale ottenendo oltre trentamila voti nel collegio di Barcellona, ma i collegi più “facili” assegnati ad altri candidati lo privarono di una degna conclusione di una carriera politica che tuttavia gli regalò un’ultima soddisfazione: nel 1988 il PCI fu chiamato alla guida della città, e Tindaro La Rosa ricoprì la carica di vice Sindaco e di Assessore allo Sviluppo Economico.
In carica per oltre un anno e mezzo, la sua esperienza di Assessore finì assieme alla coalizione per decisione unilaterale di una DC che si sarebbe riunita ai tradizionali alleati del quadripartito per formare una nuova amministrazione.
Solo l’anno dopo il consigliere La Rosa decideva di non ricandidarsi e di chiudere, a 66 anni, la sua esperienza politica che durava da quasi mezzo secolo. Nel 1993, il 22 novembre, a soli 69 anni, dopo una breve malattia Tindaro La Rosa si spegneva. L’ultimo unanime riconoscimento fu l’allestimento della camera ardente nella sala rotonda dell’ex Diana, dove un lungo, mesto pellegrinaggio di persone di ogni età ed estrazione lo salutarono in silenzio, commossi.
Da lì la bara, coperta da una bandiera rossa, veniva trasportata in chiesa per l’estremo saluto. L’arciprete, don Gaetano Modesto, che officiava la cerimonia funebre, nella sua omelia pose l’accento sulla passione e l’impegno che per lunghi anni avevano ispirato la sua attività, senza nascondere la coerenza nella ricerca del bene e la vicinanza a Dio, concludendo “Credo che la Madonna l’abbia presentato con simpatia al Figlio Suo Gesù”…
Fui testimone degli ultimi giorni di vita di Tindaro La Rosa, quando, per ringraziarlo di un documento sonoro che mi aveva fornito per un lavoro universitario, gli consegnai una lettera scritta con una penna ROSSA! Una lettera che conservò, perchè – mi disse – mai e poi mai avrebbe pensato che un avversario politico, così come mi riteneva, potesse diventare il più caro dei suoi amici.
E tornano in mente vecchie immagini di anni lontani, l’amicizia con i miei genitori, sincera e disinteressata, fra persone che non avevano nulla da nascondere e fondata su sentimenti di lealtà. Così come non potrò mai dimenticare quella visita dopo la mezzanotte, al termine di una Festa dell’Unità, una delle tante che si organizzavano a Milazzo negli anni 70, a casa dei miei. Ero ancora “figlio di famiglia” e con idee opposte, e mi svegliai per il vociare allegro e festoso che proveniva dal salone. Curioso di sapere cosa stesse accadendo, vidi papà con un fazzoletto rosso al collo, assieme a mamma, a Tindaro e ad alla moglie Eliana, discutere allegramente.
Rivolgendomi a papà piuttosto che all’avversario di sempre gli intimai di togliersi quel “coso” dal collo! Fu allora che lui, il nemico, il comunista Tindaro, mi disse sorridendo di tornare a dormire. Rimasi interdetto, tornai a letto evitando di unirmi, per rispetto delle mie idee a quel gruppo di scalmanati, che avevano poco più di 50 anni, ricchi di esperienza, lotte, vitalità, sincera amicizia!
Compresi quel giorno molte cose: ma soprattutto che l’amicizia non ha colori, e da allora ho cercato di cambiare anche i miei atteggiamenti nei confronti degli avversari politici.
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