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“ALZI LA MANO CHI HA UN SOGNO”

“Alzi la mano chi ha un sogno”. Alle medie è una festa. Si alzano tutte le mani e tutti fanno a gara per venire al microfono e dirtelo qual è il loro sogno: naturalmente il calciatore, ma anche tante cantanti, programmatori di videogiochi, chi dice che vuole viaggiare, chi fare i soldi.

Alle superiori, le mani che si alzano sono molte meno.

Al Liceo la mano la alzano in tre quarti. Al professionale, se va bene, un quarto. E ci sono volte in cui la alza solo uno. Uno solo in tutta la scuola.

Quando si dice che la scuola italiana è classista, è di questo che stiamo parlando.

Non è che il latino formi la mente mentre le materie più pratiche no; non è che al Liceo si sviluppa più l’aspetto umanistico e nelle altre scuole quello tecnico.

È che ai professionali, spesso, ci finiscono ragazzi che hanno già smesso di sognare. Chiedetelo a chi ci insegna davvero, in quelle scuole. Chiedetelo a chi fa una fatica immane, davanti a muri di rabbia e rassegnazione.

Eppure sono ragazzi incredibili. Ci parli e capisci che dietro ognuno di loro c’è un mondo, ma anche che quel mondo è spesso sepolto sotto coltri di mazzate che la vita gli ha già dato.

E dovreste vedere come scrivono, alcuni. In bigliettini di fortuna, con italiano sgrammaticato e punteggiatura assente, c’erano degli Ungaretti e dei Montale, ragazzi che se solo fossero ascoltati e incoraggiati a seguirli davvero dei sogni, quella mano la alzerebbero più in alto di tutti.

Chi ha deciso che quei sogni valgono meno? Chi ha stabilito che certe mani debbano restare abbassate, che certi mondi debbano restare sepolti? (Nella foto: un ragazzo che ha creduto nei propri sogni!)

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