Il matrimonio è da tempo più un evento social che un impegno di vita. Non stupisce che i divorzi stiano raggiungendo numeri record, d’altronde quando spendi più tempo a scegliere il fotografo che a riflettere sul significato della promessa che stai per fare, qualcosa non torna.
Chiese scelte come set fotografici da chi non ha messo piede in una parrocchia da decenni, comuni che scimmiottano riti religiosi. Location esclusive prenotate con due anni d’anticipo. Budget che farebbero impallidire un produttore cinematografico. E per cosa? Per un giorno di gloria sui social, per accontentare i parenti, per seguire un copione sociale. Ma non hai il tempo per pronunciare il Sì che già divorzi!
La tradizione è diventata la foglia di fico dietro cui nascondere la mancanza di sostanza.
“Lo facciamo in chiesa perché è tradizione” – traduzione: non abbiamo il coraggio di ammettere che ci interessa solo la scenografia suggestiva per le foto. Il rito religioso ridotto a elemento decorativo, come i confetti o il bouquet.
E parliamo dei costi? Coppie che si indebitano per anni per un singolo giorno di festa. Menù degni di un summit internazionale, bomboniere artigianali dall’altro capo del mondo, abiti che costano quanto una macchina. Tutto questo mentre magari non hanno ancora un mutuo per la casa o una stabilità economica.
Il matrimonio è per molti un grande spettacolo teatrale dove gli sposi sono più preoccupati della performance che del significato. Un evento social(e) dove l’importante è che tutto sia “instagrammabile”, che gli invitati rimangano impressionati, che le foto sembrino uscite da un magazine.
Non c’è da stupirsi se poi questi matrimoni-vetrina finiscono in frantumi alla prima vera difficoltà. Perché quando togli i filtri Instagram, le locations da favola e gli hashtag personalizzati, cosa rimane?
Il matrimonio è la celebrazione di un progetto di vita, non un evento mondano. Ma forse è chiedere troppo in un’epoca dove l’apparenza conta più della sostanza.
WI
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