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BARCELLONA, APPELLO AI POLITICI PER UNA COMMEMORARE UNA TRAGEDIA!

IL 15 GIUGNO DI CINQUANT’ANNI FA LA TRAGEDIA NELLA GALLERIA, IN CUI MORIRONO OTTO PERSONE. IL DRAMMA E L’AGONIA DI SALVATORE SANTAMARIA, GIAVELLOTTISTA MESSINESE. IL RACCONTO DEI TESTIMONI E DEI SOCCORRITORI. L’APPELLO DI FRANCESCO CILONA SU L’ECO DEL TIRRENO DI BARCELLONA, A DIECI ANNI DAL DISASTRO. LO RIPRENDIAMO NOI, CON ANTICIPO SULLA RICORRENZA DEL CINQUANTESIMO ANNIVERSARIO, E CI APPELLIAMO ALLA CLASSE POLITICA

Era il 15 giugno 1969, e la Gazzetta del Sud in prima pagina aveva un titolo a nove colonne, TRAGEDIA NELLA GALLERIA, per dare la notizia di un disastro ferroviario che avvenne nella galleria S. Antonio, a Barcellona.

Su quel treno c’era anche Salvatore “Salvo” Santamaria. Lo avevo conosciuto e avevo fatto amicizia con lui ovviamente all’ex Gil, durante i tanti allenamenti. Era tesserato con l’US Peloro, e si allenava nel lancio del giavellotto, specialità che lo aveva conquistato assistendo ai lanci dei vari Angelo Ciappina, detentore del primato provinciale, Giovanni Schepici, Cosimo Persichina, Mario Amabile.

Salvo aveva preferito rientrare da Palermo dove aveva disputato la sua ultima gara con la società del geom. Salvatore Tiano. L’accelerato sarebbe giunto a Messina alle prime luci dell’alba. Un viaggio lungo, estenuante, con fermate ad ogni stazione. Un treno con sedili in legno, dove riposare sarebbe stato difficile, anche se il viaggio avveniva di notte; ma lui non si creò alcun problema: da giovani eravamo abituati ad affrontare trasferte avventurose, per amore dello sport… persino a dormire per terra, nei corridoi.

Si svegliò a seguito dell’urto terrificante. Cercò di rialzarsi e di uscire, ma era incastrato e pianse disperatamente, pregando i soccorritori di liberarlo. Con la fiamma ossidrica sarebbe stato facile, ma il suo utilizzo avrebbe causato una tremenda esplosione! Infatti uno dei vagoni trasportava piombo tetraetile, sostanza altamente infiammabile, e lo scontro provocò la fuoriuscita del liquido.

Una foto pubblicata dalla Gazzetta mostra “l’onda nera” che copre il pavimento del tunnel, e su essa si muovono i soccorritori. Un lavoro difficile, talvolta impossibile: nella “galleria della morte” è concreto “il pericolo che anche una scintilla incendiasse da un momento all’altro il liquido altamente infiammabile…”. Nonostante ciò, vigili del fuoco ed infermieri facevano avanti ed indietro, senza concedersi soste, per estrarre dalle lamiere i feriti, trasportare fuori chi aveva perso la vita.

Nelle foto della Gazzetta del 16 giugno, lunedì, si nota l’incessante viavai dei soccorritori. Ma non tutti reggono al ritmo estenuante imposto dalle circostanze: sia i vigili che gli infermieri sono a loro volta soccorsi, perchè investiti dalle esalazioni del piombo tetraetile, tossico!

Bisognava procedere con cautela“, racconta Michele Nastasi, milazzese in servizio presso l’ospedale di Barcellona, che a distanza di cinquant’anni porta sul suo corpo i segni dell’intossicazione, dopo avere subito diversi ricoveri resi necessari in una lunga lotta che ancora oggi combatte, e che lo ha visto ricorrere anche alle autorità sanitarie e politiche per vedere riconosciuta la gravità delle ferite che lo hanno devastato.

Quella notte ho profuso tutte le mie energie – continua – e non ho esitato un solo istante quando il dott. La Rosa, informato del disastro, ha messo in moto l’emergenza ed ha chiesto l’aiuto di tutti gli uomini in servizio. Nonostante fossi tecnico biologo e non infermiere, ho capito che non c’era tempo da perdere per salvare quelle vite umane. Eravamo in tanti in quelle ore, e man mano che il tempo passava, arrivavano sul posto anche i residenti di Barcellona, svegliati di soprassalto dal boato. Nella concitazione del momento organizzammo i soccorsi, senza badare troppo a quella marea nera e vischiosa sula quale ci muovevamo. Ci dissero di usare molta precauzione, poichè la sostanza era altamente tossica. Ci ammonirono del rischio di una esplosione. Ma noi continuammo ad andare avanti e indietro, perchè c’erano persone che stavano peggio di noi su quei treni: ogni istante di ritardo poteva nuocere a loro, non certo a noi. Non mi curai di prendere delle precauzioni, di indossare una maschera, di tirarmi egoisticamente da parte e limitare il mio accesso nel tunnel. In me prevalse il senso di responsabilità, non certo l’eroismo, come qualcuno disse. Era il nostro lavoro, eravamo stati chiamati a salvare delle vite umane, e rifarei ancora oggi quel che feci in quella terribile notte e nelle ore successive“.

Matteo Gentile, di Barcellona, racconta: “Era domenica, dal mio balcone vidi una colonna di fumo uscire dall’imbocco dalla galleria S. Antonio, decisi di andare a vedere cosa fosse successo. Una volta lì, resomi conto della tragedia mi offrii a dare una mano ai soccorritori e così partecipai attivamente per tutta la durata o fin quando non c’è stato più nulla da fare. Formammo una squadra, i pompieri ci chiesero di scavare della terra con qualsiasi mezzo e portarla dentro la galleria per asciugare il più possibile l’onda nera che copriva il sentiero lungo il binario. Avevamo delle cassette da frutta certamente non adatte allo scopo ma questo non ci impedì di portare a termine il lavoro e riuscimmo così a creare un buon passaggio. Intervenne anche una squadra di operai della raffineria di Milazzo che estrassero, vivo, il capo treno. Assieme al dott. La Rosa, io e altre persone entrammo dentro il vagone dove si trovava un giovane imprigionato sui sedili in posizione distesa ma incastrato e per questo impossibilitato a muoversi. Il dott. La Rosa, ricordo, strisciando sul pavimento, mentre io tenevo una torcia elettrica per fare un po’ di luce, gli praticò le prime cure, e se ricordo bene anche una puntura per evitare un eventuale blocco renale. Intanto, dall’esterno, fu praticato un foro sulla fiancata della carrozza in corrispondenza del giovane, riuscirono a tirarlo e portarlo fuori fino alle spalle. A turno dei volontari, aiutandosi con un cuscino, sorreggevano quella parte del corpo che sporgeva. Il tempo trascorreva, mentre il ragazzo cominciava a urlare, preso dal un comprensibile nervosismo. Tornai fuori, non potendo partecipare a quella operazione, data la mia altezza, ma facevo la spola tra la galleria e la casa cantoniera dove, giunti da Messina, si trovavano i genitori del ragazzo. Poi, in uno dei miei su e giù, quando erano passate tantissime ore, all’imbocco della galleria incontrai un pompiere: stava piangendo, e sconsolato mi informò, purtroppo, della triste notizia. Il ragazzo non ce l’aveva fatta. Piansi anch’io!”.

Stelio Vitale Modica scriveva sulla Gazzetta: “Segnaliamo, non solo all’opinione pubblica, ma soprattutto alle autorità lo spirito di abnegazione innanzitutto del dott. Vincenzo La Rosa, sanitario dell’Ospedale Cutroni – Zodda di Barcellona, per il quale una ricompensa al valor civile è quanto di meno si possa fare di fronte a quel che questo giovanissimo ha fatto quella terribile notte. Assieme a lui i quattro infermieri Nastasi, Garofalo, Ullo e Marzo. I vigili del Fuoco di Milazzo e Messina, al comando dell’ing. Dell’Erba e del magg. Crocitti, meritano una nota particolare di encomio per l’impegno profuso nell’opera di soccorso. Li abbiamo visti svenire, venir fuori dalla galleria, rianimarsi e tornare dentro la galleria. Solo loro potevano farlo con quel coraggio e quella forza d’animo di cui sono dotati“. 

Assieme a Salvatore Santamaria, le vittime di quel disastro furono Antonino Saglimbeni, Francesco Cardile, Francesco Di Salvo, Filadelfio Di Leo, Claudio Fisauli, Biagio Bonifacio, Pasquale Pugliatti.

Francesco Cilona (nella foto), su L’ECO DEL TIRRENO di Barcellona, scrisse in occasione del decimo anniversario di quella immane tragedia, nel 1979: “Sicuramente i Vostri cari piangono ancora lacrime di sangue per la vostra sciagurata fine; ed è anche certo che, con essi, continuano a ricordarsi di Voi e della Vostra tragedia i modesti abitanti della frazione di S. Antonio, svegliati in quella notte infame dallo sconvolgente boato sinistramente emesso dal tunnel della morte. Se le autorità non si sono ricordate di questo decimo anniversario, se nessuna corona di fiori è stata ordinata per essere deposta “ufficialmente” presso la lapide attaccata, nove anni fa, all’imbocco ovest della tragica galleria, se nessun discorso commemorativo è stato pronunciato da qualche storico cittadino, in questa decennale ricorrenza, se insomma è venuta meno la farisaica retorica ufficiale, Voi, che tutto vedete adesso nella giusta dimensione, non potete che essere contenti.

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