Era il 16 giugno del 1953, settant’anni fa, quando un bambino emetteva i primi vagiti.
Francesco era il suo nome, ma nella Sena, dove abitava e sarebbe cresciuto, sarebbe stato chiamato Franco da tutti.
E la Sena fu la sua casa per lunghi anni: quella Sena con i suoi vicoli, nei quali, in quegli anni, il movimento delle macchine era inesistente.
Come Franco, nella Sena vissero e si conoscevano perfettamente decine di famiglie, fiere della loro comune appartenenza ad una parte di Milazzo che non era un rione, né tanto meno una contrada o una frazione: era la Sena e basta! E Franco nella Sena crebbe e giocò, libero da condizionamenti, con altre decine di ragazzi, tutti padroni indiscussi del territorio, ed anche se appartenenti ad altre generazioni, il più grande e il più piccolo erano coetanei.
Franco in quella Sena visse circondato dall’affetto della mamma, la signora Carmelina, donna premurosa ed amorevole con ognuno di noi, quando entravamo nelle case sempre aperte di questi nostri compagni di una vita condividendo pranzi o cene modeste, programmi televisivi, panino, formaggino, una mela o un’arancia, e spesso per cercare protezione dagli scapaccioni dei nostri genitori.
Di due anni più piccolo di me, Franco era cresciuto amorevolmente maturando un’immensa fede in Dio, molto sensibile e pronto a dare, ieri come oggi, se stesso per il prossimo, per gli ultimi, per coloro che hanno bisogno. Affettuoso e sincero in ogni suo comportamento, in ogni azione che caratterizza la sua giornata, Franco continua a vivere cristianamente la sua vita, senza dimenticare quegli anni spensierati vissuti in quella Sena, assieme a tanti piccoli amici, legati da un rapporto di amicizia fraterno e leale.
Oggi Franco compie settant’anni! Sono tanti, per uno come lui legato ai ricordi di un tempo che non è andato mai via, ai ricordi di quel minuscolo universo che rendevano vivo il vociare, gli schiamazzi, le grida di gioia, quando si giungeva primi in una corsa, percorrendo il vico Banditore, dove gli ostacoli erano qualche anziano che, seduto sull’uscio, si appisolava; la biancheria stesa ad asciugare; il braciere che si accendeva per riscaldare le fredde serate invernali, e nel quale si buttavano, per diffondere profumo all’interno della casa, bucce di agrumi, o il cavallo del nonno di Enzo e Natalino Bonfiglio.
E quella Sena era viva anche per l’esultanza dei ragazzi quando un pallone si infilava alle spalle dell’improvvisato portiere, durante interminabili incontri di calcio, in cui tutti inseguivano la palla: due sassi delimitavano la porta, ed era un dilemma capire se la squadra avesse segnato o se la palla fosse andata a colpire un palo o una traversa inesistenti! Il tiro che non riusciva ad essere parato, per la statura del portiere, veniva dichiarato alto, ma prima di giungere a questa determinazione o all’altra, completamente opposta, ci voleva sempre la buona volontà dei giocatori. Piccoli diverbi, ma alla fine prevaleva la comprensione.
Lì visse Franco, che prese parte alle periodiche battaglie per difendere quel territorio che ci apparteneva per “diritto di nascita o di residenza”. Anche se si ritenevano della Sena persino i ragazzi della via Cumbo Borgia, quelli della via Umberto I, i cui balconi o le porte secondarie si affacciavano su di essa, gli altri della via Nino Ryolo, che all’epoca veniva chiamata “vinedda ’Ddulurata”, bisognava impedire che la violassero i ragazzi che abitavano nei Casali, nella parte alta di Via Umberto I, verso Piazza Roma, e nella via del Sole: a costoro veniva impedito prepotentemente addirittura l’accesso, e le battaglie che si ingaggiavano si risolvevano con qualche sassaiola e inseguimenti con bastoni e fionde, che stabilivano quale rione avesse vinto. Spesso, grazie anche all’intervento di ragazzi più grandi ai quali spettava il comando delle operazioni di attacco o di difesa!
Per Franco e i ragazzi di ieri la Sena era immensa! Tale non si presenta oggi ai nostri occhi. In essa, che per anni divenne dominio incontrastato di autovetture che la percorrevano in tutti i vicoli alla ricerca di una improbabile sosta, non vediamo più l’entusiasmo e la vitalità dei suoi abitanti; non c’è più nemmeno la fontana, alla quale, chiedendo permesso alle donne che lavavano la biancheria, andavamo a dissetarci più volte nel corso della giornata, durante le pause dei giochi. Incuranti di chi ci diceva di non bere perché eravamo sudati e che avremmo potuto rimediare una polmonite, malattia molto temuta all’epoca.
Come tutti noi, Franco non abita più nella Sena, ma come tutti noi che lì abbiamo abitato negli anni della fanciullezza, la continua a rivedere con gli occhi di una volta, e la vorrebbe come allora: piena di vitalità, di bambini che corrono, di mamme che chiamano, di ragazze in età da marito affaccendate nei servizi domestici, di padri che tornano stanchi dal lavoro… di vecchi, perché così venivano chiamati allora, che stavano davanti all’uscio, avvolti in uno scialle durante le serate invernali, o che reggevano con le loro mani quelle dei nipotini che muovevano i primi passi, certi che prima o poi, una volta che sarebbero stati in grado di camminare, non avrebbero avuto più la possibilità di fermarli, rapiti anche loro da quel vortice, quel movimento incessante che, ieri, vivevano tutti…
Ci sono, ci siamo tutti nei ricordi di Franco Doddo, questo ragazzo di settant’anni che oggi vorrà essere accanto ai sui fratelli di oggi, per regalare loro un momento di gioia e di divertimento, frutto della sua straordinaria bontà, del suo altruismo, del suo amore per il prossimo. Ci sono Stefano, Tanino, Angela, Lucrezia, Sara, Maurizio, Mario, Salvatore, Luciano, Carmelo, Armando, Enzo, Tina, Lellè, Pupa, Serafino, Giulio, Gianni, Pippo, Loreto, Luisa, Eugenio, Fiorenza, Pino, Mimmo, Turuzzo, …
E’ cresciuto, come tutti noi. E come tutti noi ha pianto per chi è andato via per sempre. Ed in lui è cresciuto quel sentimento che aveva mostrato fin da bambino, e del quale, per la nostra età, non ce n’eravamo mai accorti. Pensavamo ai giochi, alle corse, ai litigi, a difendere quel nostro mondo, ai pomeriggi davanti alla televisione, e non ci eravamo mai accorti che Franco aveva una dote in più, un dono di Dio che lo rendeva migliore di tutti noi: una smisurata bontà.
Auguri per i tuoi settant’anni, Franco! Che Dio ti protegga e ti ispiri sempre a fare del bene al prossimo.
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