Negli anni lontani della nostra adolescenza le piste di atletica leggera erano realizzate con una terra rossa, che si chiamava tennisolite. L’unica pista esistente in provincia era a Messina, e sorgeva verso la fine del Viale San Martino, alle spalle del Provveditorato agli Studi e prima di Villa Dante. Era l’ex GIL, definito da qualche decennio solo “campo della G.I.”, acronimo che sostituiva il precedente, GIL, coniato nel periodo storico che aveva voluto la sua costruzione. E mentre G.I. significa Gioventù Italiana, G.I.L. stava per Gioventù Italiana del Littorio. La ELLE finale fu soppressa a seguito della caduta del Fascismo, forse per cancellare una traccia del Ventennio, ma fu trovato un modo molto semplice di lasciarla nella denominazione dell’impianto, chiamando lo stesso ex GIL, dove quell’ex significava l’appartenenza ad un periodo storico che qualcuno aveva paura solo di pronunciare.
Gli atleti di oggi quella pista non l’hanno conosciuta: era come i campi da tennis. Chi ha avuto la fortuna di correre su di essa, non può dimenticare le particolari sensazioni che si vivevano, soprattutto nei giorni successivi ad una pioggia, quando la polvere di mattone con cui era stata realizzata diventava più compatta e permetteva di esprimersi al meglio. Oggi una pista del genere non è più adatta ai tempi, e non ha nulla a che vedere con quelle realizzate con moderni materiali sintetici che permettono prestazioni al limite dell’imbattibilità; ma quanta poesia chiudeva nel suo fruscio quando i lunghi chiodi da 12 o 15 mm la perforavano, cercando la spinta per andare avanti! Nelle gare di velocità, prima di ogni partenza c’era tutto un cerimoniale da osservare, a cominciare dal posizionamento dei blocchi, piantati con lunghi chiodi e spesso con l’unico martello che i concorrenti si passavano, senza badare troppo alla concentrazione, provando e riprovando la distanza dalla linea, misurata con le dita, per poter permettere ad ognuno uno scatto fulmineo o un illusorio vantaggio. Il vantaggio, spesso in altre gare, specie nel mezzofondo, veniva cercato proprio alla partenza, più per intimorire gli avversari che per convinzione di mantenere fino all’ultimo il ritmo di gara. E dopo quello sprint che dava l’effimera sensazione di avere fatto il vuoto, si rientrava nei ranghi, spesso risucchiati impietosamente da chi operava il sorpasso e incrementava, metro dopo metro, il ritmo; e alla fine cercava “pista” facendo subire l’onta del doppiaggio! Cosa che avveniva spesso in un impianto di 267 metri, come l’ex Gil, e non dei consueti 400.
Ma l’Ex Gil era per noi un sogno: così come era un sogno disputare le gare, calpestare il prato, andare in pedana per i lanci, prendere la rincorsa per un salto. L’Ex GIL appartiene al passato del nostro sport, è vero. Ma è anche vero che quel passato era pieno di sensazioni speciali, irripetibili.