LA NOTIZIA, DIFFUSA LO SCORSO ANNO DAL NOSTRO GIORNALE, SUBITO DOPO IL DISASTRO AL SERBATOIO, E’ STATA UNA DELLE PIU’ LETTE E COMMENTATE IN QUESTI SETTE ANNI DI TERMINAL. IN OGNI CASO, NOI MILAZZESI, MA ANCHE L’INTERO TERRITORIO CHE SULL’INDUSTRIA FONDA LA SUA ECONOMIA, COME CI DOVREMMO COMPORTARE?
A Milazzo ci sono i pro e i contro… Ma cosa succederebbe se domani leggessimo…”CHIUDE LA RAFFINERIA”?
… Già, cosa succederebbe? Ipotesi remota, dicono in molti, convinti che l’economia del territorio debba essere legata esclusivamente all’industria. Ma prendiamola in considerazione questa ipotesi. In questa città non abbiamo mai considerato il peggio: non avevamo considerato la chiusura della Metallurgica Sicula, eppure era la più grande realtà del dopoguerra, e dava lavoro, allora, a oltre 300 persone. Su di essa si fondava l’economia cittadina. Chi pensava che anche la Montecatini avrebbe potuto chiudere? E le assunzioni presso le Officine Galileo o l’AIAS non erano forse sinonimo di certezza occupazionale? E il Mulino? Quante persone hanno lavorato dentro il Mulino, nel corso di decenni? Potremmo continuare, ma non ne vale la pena. Sono cose risapute, e non faremmo altro che ridestare ricordi di un periodo di benessere economico che non si vive più. La Raffineria chiude, diciamo nel titolo. E allora che facciamo? Ci tiriamo i capelli? Ci stracciamo le vesti? Oppure scioperi, manifestazioni di piazza, comizi, cortei, occupazioni, viaggi a Palermo o a Roma, per chiedere la CIG a frotte di disoccupati (ma solo sulla carta), o la riapertura, per garantire il lavoro? Ma dove? In una città come Milazzo, che oltre mezzo secolo fa ha barattato il proprio futuro poiché si pensava che l’industrializzazione sarebbe stata la vera fonte di benessere per il Sud, anzi per la Sicilia? Ancora oggi molti ricordano la decisa opposizione di un Sindaco, il dott. Peppino Fogliani, il quale ammonì sulla scelta sbagliata che si stava facendo ai danni del popolo milazzese. Nulla da fare. La piazza ebbe la meglio, perché fuori qualcuno aveva deciso l’industrializzazione della Sicilia, per consegnare enormi distese di terra dei latifondisti rimasti senza contadini e coloni a chi poteva pagarle a prezzi esorbitanti, non certo di realizzo! Per bloccare il fenomeno dell’emigrazione. Per dare un futuro alle nuove generazioni, quelle nate dopo la guerra, e per tanti decenni ancora, ma senza prevedere l’inquinamento, le malattie, i tumori, le morti! E se domani, per un motivo qualsiasi, la stessa azienda dovesse decidere di andare a produrre altrove, magari in altri Stati, o in altri continenti, dove la manodopera costa meno (lo fanno in molti) cosa accadrebbe? Vogliamo mettere in conto anche questo, perché state certi che anche questo è stato preventivato? Se dovesse accadere, ci troveremmo spiazzati. Come opporsi ad una decisione che fissa una scadenza? E’ successo altre volte, e Termini Imerese insegna. E allora cosa accadrà? Si tornerebbe a coltivare i campi, dopo oltre mezzo secolo? Per quale motivo? Per dare un futuro ai nostri nipoti, che avranno deciso di andarsene a vivere lontano dalla città natale, nella quale la morte per tumore è pari ad un terzo delle morti totali? In una città dove l’età media alla morte è inferiore a quella degli altri paesi della Sicilia e dell’Italia, si dovrebbe pensare seriamente a programmare il futuro a medio e lungo termine. Per disegnare la Milazzo da consegnare ai nostri nipoti e pronipoti. Sarebbe giusto pensarci, anziché lasciarsi cogliere impreparati da decisioni improvvise ma nemmeno tanto remote! Occorre decidere cosa si vorrebbe fare, in alternativa all’industria, partendo dal principio che questa non è eterna. Occorre avere le idee chiare, programmando la bonifica dei terreni e lo smantellamento per assicurare il lavoro a migliaia di persone, sicuramente di più di quelle attualmente occupate. Non meno di dieci anni, in attesa di realizzare strade, fognature, reti idriche, impianti elettrici, strutture ricettive, pubblici esercizi, parchi. Puntare così decisamente sul turismo, compresso, schiacciato, penalizzato dalla presenza non certo incoraggiante dei serbatoi e delle ciminiere. Una città che potrebbe invertire una tendenza che l’ha vista soffrire per mezzo secolo, votata all’industria anziché al turismo, come sarebbe stato logico! Rimarginare le ferite per i danni ambientali subiti e guardare al futuro è il sogno della maggior parte dei Siciliani: per riscattare la loro terra, per valorizzare le loro ricchezze, per essere fieri del passato glorioso ereditato dagli antenati, per ribadire il ruolo di guida nel cuore del Mediterraneo. Tutto questo solo se … domani… Ma il domani è nostro!