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Città Invisibili e Angela Rosauro presentano “Catàmmari catammàri nel fondo del pozzo”

(di Francesco D’Amico)

“Se sei siciliano devi per forza viaggiare. Nel senso che se sei povero, viaggi per cercare lavoro, se sei ricco, viaggi per non sentirti fuori dal mondo”.

Rosamaria Cecere è la protagonista di “Catàmmari catàmmari nel fondo del pozzo”, romanzo di Angela Rosauro presentato a Palazzo D’Amico su iniziativa dell’Associazione culturale “Città Invisibili”.

Nata a Napoli da padre napoletano e madre messinese, Angela Rosauro ricopre l’incarico di dirigente scolastico a Pollena Trocchia, paese della cintura vesuviana.

Con lei hanno dialogato l’insegnante Maria Rotuletti e l’avvocato Piera Montella.

Il presidente di Città Invisibili, Santo Laganà, ha ricordato le gravissime discriminazioni subite dalle donne in molte parti del mondo; la tragedia di Cutro che ha visto morire anche donne e in cui delle madri hanno perso i loro bambini; e la battaglia di una mamma milazzese, Adele Chiello Tusa, ancora in attesa di giustizia per la morte del figlio Giuseppe Tusa.

Rosamaria Cecere, messinese trapiantata a Milano, torna in Sicilia per vendere il patrimonio di famiglia dopo la morte dei genitori, nel periodo tra l’uccisione di Falcone e quella di Borsellino. Come tanti siciliani di ieri e di oggi, anche lei è andata via dalla sua terra, ma le circostanze la riconducono nei pressi di Messina, dove scopre un legame profondo col suo paese d’origine, un passato familiare di cui ignorava molti aspetti, e lentamente si fa strada dal fondo della sua anima un intreccio di radici sepolte dal tempo.

“Catàmmari catàmmari”, ovvero piano piano, la vita di Rosamaria Cecere cambia volto: in lei avviene una rinascita, narrata attraverso un’intervista rilasciata alla giovane cronista di un quotidiano, Armanda, che proprio dal confronto con Rosamaria trarrà un nuovo slancio per la propria maturazione umana e professionale.

“La Sicilia è la mia terra, la Sicilia sono io”. Il richiamo del passato diviene esigenza irrinunciabile di verità e giustizia: così Rosamaria diventa un simbolo dell’antimafia e della tutela delle donne vittime di violenza.

I profumi e i colori di una terra armoniosa nascondono un mostro che serpeggia silente, ma che all’occorrenza fa molto rumore mostrando il suo vero volto di morte: la piovra mafiosa che tutto avvolge.

“È molto più sottile il filo che che mi tiene legata saldamente a tutto ciò – racconta la protagonista -, un filo invisibile e indissolubile: come un nettare avvelenato offerto al viandante esausto che non può che abbeverarsi a quella fonte maligna pur sapendo che essa lo dannerà a non colmare mai la sua sete”.

Determinante fu la strage di via D’Amelio: “Ho sentito un sentimento fortissimo che mi univa alla mia gente, eravamo tutti insieme, incollati al televisore, sentivamo il bisogno di stare vicini, uniti… e forse proprio anche questo sentimento mi ha fatto prendere la decisione di rimanere”.

Un percorso non sempre lineare, inframmezzato da ripensamenti e incertezze: “Non sono per niente sicura – riflette a un certo punto Rosamaria -, in realtà ho una fifa tremenda che me la sto facendo addosso ma sento che devo provarci, non è una strada semplice. Non sto parlando di lavoro o cose del genere, mi riferisco al percorso che sento di dover affrontare che è tutto mio”.

“Un libro assolutamente antiretorico – l’ha definito Santo Laganà -, la cui protagonista è una donna che rappresenta tutte le donne ed esprime l’amore per le proprie origini, la voglia di vivere, la lotta alla mafia”.

Maria Rotuletti rammenta le prime pagine del romanzo, dove Rosamaria Cecere ragiona sull’importanza simbolica del treno per le genti del meridione: “Treno del sud, treno del sole, peloritano, quanti nomi per mascherare una sola, semplice, amara realtà: treno di emigranti”.

“Il viaggio in treno è metafora della storia dei siciliani – osserva Rotuletti -, testimone di storie, racconti e riflessioni che si intrecciano passando da una città all’altra, da un paesaggio all’altro. Attorno a Rosamaria si sviluppa un groviglio di relazioni caratterizzate da grande dinamicità, qualcosa di molto dirompente a livello emotivo, e quelli che possono apparire dettagli superflui – nota ancora la docente – si rivelano invece immagini cariche di significati profondi: ad esempio, la ragazza esile con sulle spalle una grande valigia simboleggia il carico di speranze di chi parte”.

L’accento sulle piccole cose, piccole solo in apparenza, si ritrova inoltre in elementi quali “la carta velina che avvolge le lettere nella casa dei genitori, o la fontana nella villa familiare, posta al centro della corte, che accompagna il romanzo e fa tornare Rosamaria indietro con la memoria. Le cose vengono recuperate e rivissute, ma non sono più come un tempo”, conclude Maria Rotuletti.

Come dirà in seguito l’autrice, “la fontana ha un valore metaforico, segue il percorso della protagonista”, il cui stato d’animo si rispecchia nella descrizione dei luoghi. “Rappresenta anche la vita di tutta la masseria, secondo i ritmi lenti dell’antica tradizione contadina. Inizialmente la fontana appare in stato di abbandono, la casa è semideserta: nell’aria si avverte che qualcosa sta per scomparire definitivamente. Alla fine Rosamaria riuscirà a rimetterla in funzione, e si troverà a pagare uno scotto enorme per le sue scelte di vita”.

“Rosamaria è parte dei luoghi in cui vive: la sua terra d’origine è un luogo dell’anima e proprio per questo ella sente di doversi riappropriare di questa terra, scegliendo di restare e di fare ‘resistenza’ contro i soprusi della mafia”, le parole di Piera Montella, amica di Angela Rosauro e in precedenza sua “avversaria” professionale in quel di Pollena Trocchia. “Ci eravamo conosciute e incontrate nella nostra professione, ma il viaggio in treno per venire a Milazzo ha fatto nascere tra noi un rapporto profondo”.

“Coraggio, guardate nel vostro cuore, non vi scantati, sembra nu puzzo senza funno ma poi chiarisce. È là che sta la verità, in fondo al pozzo!”. Così parla Filuccia, la governante di Villa Cecere, colei che incarna la saggezza contadina e i valori di una tradizione in cui “il dolore era accettato come parte della vita, vissuto, ascoltato, e aiutava a crescere e a fortificarsi”, spiega Angela Rosauro.

Proprio le esperienze dolorose innescano la metamorfosi di Rosamaria Cecere, la sua nuova esigenza di autoaffermazione.

Diamo ancora la parola al personaggio di Filuccia: “Chianci figghia mia, chianci… sono lacreme di semmena! Il concime è necessario, catàmmari catàmmari aia a veniri ‘o tempu du raccolto!”.

“La trama è segnata da qualcosa di inespresso, di non compiuto nella personalità della protagonista, che decide di scendere in Sicilia percorrendo chilometri e secoli di storia per comprendere meglio la sua terra d’origine”, prosegue l’autrice. Poi, riferendosi al personaggio di Armanda: “A lei interessa raccontare storie e anche lei alla fine compie una scelta. Tutto il romanzo, in fondo, è attraversato da scelte di vita. Parlando con Rosamaria, Armanda riesce a guardare in fondo al pozzo del suo cuore”.

Quanto al significato del titolo, “Catàmmari catàmmari”, Rosauro chiarisce: “Quest’espressione la usava mia nonna, originaria di Scaletta Zanclea, per indicare qualcosa di non semplice che bisognava fare un po’ alla volta. Vuol dire ‘giorno per giorno’, ‘lentamente’. Infatti la parte più profonda di Rosamaria viene fuori molto gradualmente dalle radici della sua terra. È un percorso per ritrovare le nostre tracce – dice infine la scrittrice -, quello che già noi siamo pur non sapendolo ancora, frutto della sedimentazione di tante cose che formano un nucleo forte e incancellabile all’interno di noi stessi. Rosamaria ha provato a diventare altro, ma alla fine è venuta fuori la sua parte più vera. Da quel momento, ha dovuto solo lasciarla scorrere”.

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