Gv 1, 35-42
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa maestro – , dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” – che significa Pietro.
COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 14 GENNAIO 2024 (Gv. 1,35-42) Giovanni Battista osserva Gesù nella sua attività, ne comprende la personalità e lo identifica come l’Agnello di Dio. Questa definizione di Gesù non indica semplicemente un personaggio mansueto, ma ha una valenza molto più profonda. Quando gli Israeliti erano schiavi in Egitto, prima di iniziare l’esodo, Mosè comandò ad ogni famiglia di mangiare un agnello. Il nutrimento di carne avrebbe dato al popolo la forza fisica di affrontare la fatica della fuga, mentre il sangue sulle porte, avrebbe protetto dalla morte (cfr. Es. 12,3-14). Gesù è l’Agnello di Dio la cui “carne”, mangiata nell’Eucaristia, nella forma del pane, dà a ciascuno di noi la forza di liberarci dalla schiavitù del peccato. Il “sangue”, simboleggiato nell’Eucaristia dal vino, dà vita cioè protegge dalla “morte spirituale”. Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo. Peccato è non accorgerci dei bisogni degli altri. Peccato è violenza, egoismo, indifferenza. Gesù insegna a sostituire gli atteggiamenti prevaricatori, di potere e di superbia, con comportamenti di servizio. Facciamo una distinzione fra i termini “servo e servitore”. Il servo, sinonimo di schiavo, deve solo ubbidire ad un padrone. Non ha né pensiero né azione autonoma. Il servitore, invece, è colui che volontariamente, svolge un servizio a favore degli altri. Lo fa per amore e si assume la responsabilità delle proprie azioni. Gesù ci dà la forza di essere servitori e nutrire così la nostra fame di senso della vita. Due discepoli seguono Gesù lungo la strada ma Lui chiede: “Che cosa cercate?” Quali sono le motivazioni della sequela? Sono motivi legati ad interesse personale? Pensano che Gesù possa dare potere e agevolare il loro piedistallo? Niente di tutto questo. La sequela autentica significa andare con Lui e come Lui incontro ai bisogni degli altri. “Venite e vedete” non è un luogo fisico ma piuttosto un invito a fare esperienza di dono e di servizio come l’ha fatta Lui e, esattamente come Lui, incontrare incomprensione e persecuzione. Gesù “abita” nella vita di chi lo accoglie. L’episodio è situato alle quattro del pomeriggio, ma non è una indicazione temporale, bensì teologica. Gli Israeliti facevano iniziare il giorno successivo al tramonto. Qui siamo di fronte all’inizio di un “nuovo giorno”, una nuova Era, quella di una umanità nuova. Una comunità formata da discepoli di Gesù in cui, i singoli componenti, hanno comportamenti pienamente umani. Gesù, nell’Eucaristia, ci dà la forza di fare il passaggio (Pasqua significa passaggio) dall’ Io al Noi. Piccoli passi tutti i giorni in un cammino evolutivo che, avendo Gesù come modello, ci guida verso una umanizzazione sempre più completa. Essere più umani (il contrario di disumani) è la meta che Gesù, Agnello di Dio, ha dato a ciascuno di noi. Questa meta sarà raggiunta da Simon Pietro che, dopo una lunga esperienza di cadute ed errori, lo porterà ad essere una “pietra” adatta a costruire la nuova società inaugurata da Gesù.
MARIELLA RAPPAZZO
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