Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Parola del Signore
COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 19 GENNAIO 2025 (Gv.2,1-11)
Questo brano di Giovanni ci porta a fare delle capriole esegetiche perché si muove su diversi livelli teologici, difficili da sintetizzare in poche righe. In passato, quando non si possedevano gli strumenti culturali odierni, si diceva che Gesù aveva cambiato l’acqua in vino e compiuto un miracolo. Oggi, alla luce della moderna esegesi biblica comprendiamo che il Vangelo non riporta fatti di cronaca ma verità di fede ed usa un linguaggio simbolico, metaforico, teologico. L’espressione “il terzo giorno” fa riferimento al tempo in cui Mosè elaborò i 10 Comandamenti sul monte Sinai e fissò l’Alleanza tra Dio e il popolo di Israele. Ciò significa che la chiave interpretativa del racconto è l’alleanza (chiamata anche nozze) tra il popolo e Dio. Nel linguaggio simbolico dei Profeti, Dio è lo Sposo e Israele la Sposa. In ogni matrimonio il momento clou è quando gli sposi bevono dallo stesso calice, ma in questo sposalizio c’è qualcosa che non va. Notiamo che la madre non è citata col nome proprio. Ormai sappiamo che quando un personaggio è anonimo, è rappresentativo di una categoria. In questo caso rappresenta quella parte di Israele che aspettava il Messia. Tale personaggio, fa la constatazione che nelle “nozze” manca il vino, simbolo dell’amore. Il connubio tra Dio-Sposo e Israele-Sposa era come tra un padrone e dei servi, e piuttosto che produrre gioia e intimità, creava timore e ubbidienza. Gesù è consapevole della situazione e la sua risposta alla richiesta della “madre” , secondo il nostro linguaggio, può sembrare strana. Non così per il lessico dell’epoca… infatti il termine “Donna” significa “moglie-sposa-amata” quindi esprime grande rispetto. Anche noi siciliani, in passato, usavamo mettere il titolo Donna davanti al nome di una signora a cui volevamo rendere omaggio. “Donna che vuoi da me?”, in altre parole: cosa posso fare io per te, Israele? Israele non lo sa… ma ha fiducia in Gesù e rivolgendosi ai servi, dice: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela.” . Vi erano là 6 giare di pietra e le riempirono d’acqua. Le giare di pietra servivano per le abluzioni rituali di purificazione che usavano gli israeliti in rispetto delle 613 regole religiose. Il lavaggio rituale creava distinzione tra puri e impuri, meritevoli e non meritevoli, ubbidienti e disubbidienti, santi e peccatori. I servi versano l’acqua nei calici degli ospiti ma notano che si è trasformata in vino = gioia. Gesù trasforma un rapporto basato sul merito e sull’ubbidienza, con un rapporto fondato sul dono di sé, capace di generare gioia. Ecco la nuova alleanza-sposalizio, non più basata sui meriti di una perfezione (abluzione purificatrice) irraggiungibile… ma su un dono d’amore gratuito da parte di Dio elargito a tutti a prescindere dai meriti. Il vino-amore, creatore di gioia, è donato ai buoni e ai cattivi senza distinzioni. Appartenere alla prima o alla seconda categoria, è una scelta personale e libera, ma l’amore incondizionato di Dio è universale e non discriminante. Pertanto, non occorre essere puri e santi per ottenere l’amore di Dio, ma accogliere l’amore di Dio nel proprio cuore e distribuirlo agli altri, è ciò che purifica = santifica l’Uomo. Le nozze non sono più solo con Israele ma con l’intera umanità.
MARIELLA RAPPAZZO
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