Le ricorrenze sono occasione di festeggiamenti ma anche momenti di riflessione sul cammino fatto e sulle realizzazioni compiute e di progettazione e programmazione del futuro.
Il settantaquattresimo anniversario della festa della Repubblica ricorre in un momento di grande tristezza per l’umanità colpita da una grave pandemia che ha seminato molti lutti ed ha già provocato una grave crisi economica che rischia di aggravarsi.
Ciò non ci esime dal ricordare l’evento con uno sguardo al passato ed altro al futuro perché abbiamo il dovere di consegnare ai figli un paese migliore di quello che abbiamo ereditato.
Il 2 giugno 1946 il popolo italiano venne chiamato alle urne per eleggere l’Assemblea Costituente e rispondere al Referendum : Repubblica o Monarchia.
Per la prima volta in Italia votarono le donne.
La battaglia elettorale è stata seguita con passione non solo per il referendum ma anche perché,a causa della dittatura,il popolo non era stato chiamato alle urne da oltre venti anni ed anche perché da appena un anno era finita una guerra, iniziata il 10 giugno di ottanta anni fa,che aveva seminato lutti anche fra la popolazione civile ed immense distruzioni materiali.
Una guerra che dopo l’armistizio senza condizioni firmato a Cassibile dalla monarchia il 3 settembre 1943 e reso pubblico l’8 settembre era continuata,per circa altri due anni, ed aveva visto il territorio nazionale diviso in due Stati in lotta ( la monarchia dei Savoia al sud contro la repubblica sociale di Mussolini al nord che era appoggiata dai nazisti).
Con il voto del 2 giugno 1946 si è compiuta una rivoluzione con il passaggio da sudditi a cittadini.
Una rivoluzione indolore segno di grande civiltà e tolleranza dei vincitori che è stata interpretata dai vinti come segno di debolezza.
La repubblica ha assicurato 74 anni di pace che mai aveva avuto il nostro paese ed ha contribuito ad assicurare la pace anche fuori dell’Europa.
Ha ricostruito il paese ,ha prodotto dopo pochi anni dalla fine della guerra “il miracolo italiano”che ha suscitato la meraviglia degli economisti.
La differenza tra il 1946 ed oggi è notevolissima. Ha superato la dolorosa esperienza degli anni di piombo. La Giustizia Sociale che sognavamo però non si è realizzata perché vi è molta disoccupazione, molto precariato e sottoccupazione anche intellettuale. Cosa questa molto mortificante perché chi è in cerca di lavoro subisce spesso delle umiliazioni.
La tutela e la dignità del lavoro,forse anche a causa dell’eccessiva disoccupazione,spesso non hanno ottenuto sufficiente protezione.
La pandemia che pare volge ad esaurirsi ha messo in evidenza la grande maturità del nostro popolo che ha sopportato il sacrificio della propria libertà di mov imento ,ed anche le insufficienze numeriche nella sanità pubblica ed in altri settori.
Nel dopoguerra siamo riusciti a produrre il “miracolo italiano”.
Ora bisogna produrre un altro miracolo per il quale è necessaria una inversione di tendenza nella politica economica.
Non più la politica di Quintino Sella: “economia fino all’osso”con la conseguente chiusura di reparti ospedalieri,con la desertificazione delle stazioni ferroviarie,con la chiusura di uffici giudiziari,ecc. ecc.-
Occorre creare posti di lavoro e tenere sempre presente che l’art.1 della Costituzione sancisce:
“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro “
e l’art. 36 stabilisce:
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.”
E’ bene ricordare che Mazzini “l’ultimo degli italiani antichi e il primo dei moderni”, come lo definì il vate Giosuè Carducci ,ammonì:”non è civile quel paese dove un solo uomo cerchi lavoro e non lo trovi”.
Luigi Celebre
Commenti