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LETTERA AL “VECCHIETTO” DI CAPO MILAZZO…

albero nataleEgregio Direttore,

La prego cortesemente di darmi ancora un po’ di spazio poiché ritengo mio dovere fare alcune precisazioni dopo aver letto del risentimento che un mio scritto ha suscitato – mio malgrado – nei parenti della persona alla quale mi sono riferito.

 

Gentile Signora, anche a Lei mi rivolgo pur non conoscendola per come, ovviamente, non conosco Suo padre. Spero di farlo col giusto rispetto e con tutto il garbo di cui sarò capace. 

Quando spinto da sentimenti di vera simpatia ho deciso di dedicare quelle poche righe ad una persona che stimavo pur non conoscendola, ad un uomo che – ancor fiero nell’aspetto, come ho scritto, seppur avanti negli anni – mai per una sola volta ho pensato che potevo arrecare risentimento e dispiacere ad alcuno.

Non abbandonato dai cari l’ho ritenuto, ma “solo”. Solo, nel mio immaginario, di quella solitudine che la vita gli aveva riservato quale normale destino di noi mortali. Null’altro. M’è parso di scrivere una favola, una bella favola di Natale, da leggere ai bambini ma che vale anche per noi adulti. Ed allora, non contumelie ho rivolto all’uomo che ammiravo nel suo sfaccendare continuo, nel suo accudirsi, ma pensieri di sincera stima  e per il resto: pura e semplice immaginazione nel rappresentare un fatto e non un comportamento, suo o di altri, perché non era il mio intento. Preso da questo affettuoso trasporto, mi piaceva trasparisse la voglia di far sapere che non si è mai soli quando – comunque sia – si hanno riferimenti di fede e riferimenti nei ricordi e che giusto con il “vecchietto” – che ringraziando Dio ha i suoi cari con sé – ho voluto rappresentare un simbolo ed un monito per chi si lascia vincere dalla solitudine.

Non a Lei o ai Suoi cari intendevo portare offesa perché, ripeto, la mia immaginazione lo ha “visto” solo ed io ho inteso fargli compagnia, dargli calore col mio pensiero fatto a voce alta, urlato a quanti hanno voluto  ascoltarlo. Mi spiace, davvero Gentile Signora, ma evidentemente ho sbagliato tutto.

Ho sbagliato ad abituarmi a quell’uomo chino ed operoso… e lo cercavo intorno quando non lo vedevo; ho sbagliato a ritenerlo solo; mai ho scritto abbandonato; ho sbagliato ad interessarmi di quella scenografia che, evidentemente, ho travisato; ho sbagliato per non essere stato capace di scrivere facendo comprendere che quell’uomo per me era l’esempio! E nel parlare di umile albero, di umile – antico braciere, di umile casa non ho voluto denigrare alcuno; faceva parte della scena così come l’avevo sempre coltivata con la mia fantasia. Comunque, a giudicare dal  risultato, devo ammettere di avere sbagliato e non ho alcuna difficoltà a chiedere scusa a Lei, gentile Signora, ed a quanti altri avessi involontariamente coinvolto. Devo, però, sinceramente dirLe che la replica mi ha turbato per non essere stata colta la dolcezza – convinta – con cui mi sono rivolto al Suo genitore. E se è vero che, appena informato, si sentirà importante – come credo di aver letto – almeno questo sarà un buon risultato.

Faccia sapere a Suo padre che l’ho sempre silenziosamente apprezzato e, se vuole,  legga per Lui, senza preconcetto, la favola che gli ho dedicato. Dal canto mio sono convinto che ugual gioia si può provare con un albero Cycas, con un nastro rosso e bianco da cantiere ma con tanto amore nel cuore.

Buon Natale, Signora. A Lei, ai Suoi cari ed a quell’Uomo che stimo per ciò che è  non per quel che ha.

Grazie ancora.

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