Se state leggendo questo messaggio, significa che sono stato ucciso. Quando tutto ciò ha avuto inizio, avevo solo 21 anni: ero uno studente con dei sogni, come chiunque altro. Negli scorsi 18 mesi, ho dedicato ogni momento della mia vita al mio popolo: ho documentato gli orrori che ci sono stati inflitti, minuto per minuto, determinato a mostrare al mondo quella verità che cercavano di seppellire.
Ho dormito su pavimenti, nelle scuole, nelle tende – ovunque potessi. Ogni giorno è stato una battaglia per la sopravvivenza. Ho sopportato la fame per mesi, e ciononostante sono sempre rimasto a fianco del mio popolo. Ho assolto al mio dovere come giornalista.
Ho messo a rischio tutto per riportare e raccontare la verità, ed ora sono finalmente a riposo – qualcosa che non ho mai più conosciuto negli ultimi 18 mesi. Ho fatto tutto ciò poiché credo che morire per servire il mio popolo è stato il più grande onore della mia vita.
Ora vi chiedo: non smettete di parlare di noi. Continuate a lottare, continuate a raccontare le nostre storie. Non lasciate che il mondo volga altrove lo sguardo e dimentichi.
Hossam Shabat, giornalista ucciso in quella terra di cui oggi non si può neanche scrivere il nome
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