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LO SCARFALIETTO, OVVERO “U MONUCU SUTTA O LINZOLU”. IN TEATRO SI RIDE!

Edoardo Scarpetta è una figura controversa: uomo difficile, dipinto dal figlio naturale Peppino come vanaglorioso e prepotente, ha passato tutta la vita attraversando successi straordinari senza mai goderli fino in fondo, intossicato dai suoi tanti detrattori, dai critici pedanti, dai sostenitori del teatro d’Arte, dai mestieranti invidiosi di cui Napoli ha sempre abbondato, dalle accuse di essere un puro traduttore di pochade e vaudeville. Ebbene, vi posso dire che quest’opera di Scarpetta è di gran lunga superiore all’originale e dal suo essere un capolavoro assoluto discende l’intatta qualità del testo, la sua capacità di far “morire dal ridere” gli spettatori da 130 anni a questa parte! E non un po’ meno, ma sempre di più.

Il contesto in cui si sviluppa Scarpetta è indicativo: ci troviamo in una Napoli di provincia, spogliata finanziariamente e socialmente dai Savoia, spolpata e annichilita da una piccola borghesia orrenda composta da “pezzenti sagliuti” voraci e ignoranti e da una plebe vociante sporca e maleodorante che non riesce a farsi classe, ma nella reciproca sopraffazione si arrampica verso il terziario e la piccola burocrazia, una delle poche magre risorse di una città che da regina del mezzogiorno, da Capitale illuminata d’Europa con la volterriana Parigi e con Vienna diventa Cenerentola d’Italia.

Il lavoro di Scarpetta viene tradotto in siciliano, e diventa U MONUCU SUTTA O LINZOLO: opera di due protagonisti dello spettacolo dialettale, Vincenzo Cannistrà e Salvatore Torre. Entrambi ricchi di satira e di ironia, sebbene diversi nell’età, mettono in luce i difetti, le escrescenze, i cancri di quella borghesia e della nobiltà stinta: lo Scarfalietto o “Lo Scaldaletto”, titolo originale, é “la più divertente commedia napoletana di tutti i tempi”. I protagonisti sono Amalia e Felice, freschi sposi, che litigano per qualsiasi banalità. Stavolta é la rottura di uno scaldino nel letto nuziale a provocare il finimondo, con convocazione di avvocati e richieste di separazione. Alle liti violente assiste Gaetano Papocchia, buffo carattere di anziano pretendente che capita in casa della coppia per affittare un “quartino” destinato alla soubrette Emma Carciof, per cui da tempo spasima. Da questa crisi matrimoniale scaturiscono una serie di situazioni esilaranti, comiche, al limite del grottesco fino al delirio finale all’interno del tribunale, alla brillante esplosione dei meccanismi drammaturgici scarpettiani.

Nasce così U MONUCU SUTTA O LINZOLU, dove il Felice Sciosciammocca di tante commedia è don Felice Casciuni, personaggio creato per lo stesso Vincenzo Cannistrà, traduttore, regista con Marcello Piraino ed interprete al tempo stesso; la moglie Amalia (Nunziella La Malfa) è una violentissima figlia di “pertusara” (facitrice di buchi), gli attori borghesi sono Gaetano Papocchia (Marcello Piraino), lubrico pretendente e manutengolo di una giovane soubrette e ancora sua moglie Dorotea (Daniela Principato), classica Marchesa che si dà arie da “vie parisienne” e poi impresari di quart’ordine, avvocati azzeccagarbugli o, come Anselmo Raganelli  (Tindaro Marchese), scaricatori pazzi e violenti, servi intriganti.

Ma come per miracolo, e spesso avviene in teatro, questa “band’ ‘e sciemi” diventa protagonista della più straordinaria farsa mai scritta per il teatro napoletano, un miracolo di fattura, un intarsio perfetto e come per incanto assurge a livelli di scrittura comica che hanno pochissimi confronti nel mondo del teatro non solo nazionale. Personaggi di un mondo che non c’è più e che nonostante tutti quei difetti amiamo profondamente, dispensatori di gioie incomparabili e che alla fine nel loro libro di altri tempi rientreranno.

Dirigere ed interpretare U MONUCU SUTTA O LINZOLU è come ascoltare un “inno alla gioia” del teatro napoletano, anche se è stato tradotto in siciliano: per fare simili operazioni è necessario, affondando i piedi nella tradizione, attingere all’astrazione, al distacco e al surreale, evitare la macchietta, partire da connotati assolutamente realistici, cercare il ritmo interno e la musicalità dell’opera, avere interpreti ideali. Quelli che ci mette a disposizione la Compagnia Teatrale Milazzo 2010, di cui fa parte anche Pippo Cannistrà, premiato qualche anno fa con il PREMIO TERMINAL per il teatro, che presenterà questa esilarante commedia il 17 e il 18 agosto, nell’atrio del Carmine, con il patrocinio della città di Milazzo, alle ore 21.00.

Buon divertimento.

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