MEDAGLIA ALLA MEMORIA A NATALE BOTTARO, CATTURATO DAI TEDESCHI DOPO L’ARMISTIZIO E DEPORTATO IN GERMANIA NEL LAGER DI DORTMUND. LA STORIA DEGLI INTERNATI DI GUERRA, RACCONTATA AL NOSTRO GIORNALE DALL’AVV. MARIELLA BOTTARO, FIGLIA DI UN PRIGIONIERO DI GUERRA.
Si è svolta a Messina, dinanzi al monumento alla batteria Masotto, la cerimonia organizzata dalla Prefettura per la consegna di otto onorificenze al merito e due medaglie alla memoria di cittadini deportati nei lager nazisti. Una cerimonia commovente, nel corso della quale S.E. il prefetto Maria Carmela Librizzi ha letto il messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha visto partecipare autorità militari, civili e religiose, oltre ad una nutrita rappresentanza di cittadini.
Fra i premiati, il signor Natale Bottaro, deceduto da qualche mese, dopo aver atteso invano, durante la sua lunga esistenza, un riconoscimento per la lunga prigionia in Germania. Ha ritirato la medaglia la figlia Mariella, avvocato, che si è a lungo battuta per sollecitare il Ministero della Difesa ed il Comitato Riconoscimento IMI (Internati militari italiani). E’ proprio l’avv. Bottaro che ci chiarisce alcuni aspetti di questa cerimonia, partendo da lontano.
“La mia paura – esordisce – è che dopo questa premiazione (riservata non solo a mio padre, Natale Bottaro, ma a tutti gli IMI) tutto passi nel dimenticatoio, e noi dobbiamo ricordare. Ho usato la parola IMI e non prigionieri, proprio perché i militari italiani catturati dai tedeschi dopo l’armistizio del 1943 e che erano stati messi di fronte all’aut aut dei tedeschi (O con noi o contro di noi: chi non voleva essere internato e voleva stare con loro doveva combattere al fianco dei tedeschi oppure per la neo Repubblica di Salò), per volere di Hitler che voleva vendicarsi del voltafaccia dell’Italia erano stati degradati allo status di internati. Lasciando loro lo status di prigionieri avrebbero potuto godere della tutela della Croce Rossa Internazionale, così come dettava la Convenzione di Ginevra del 1929; né, se non fossero stati degradati ad internati, i militari italiani avrebbero potuto essere avviati al lavoro coatto nell’industria bellica tedesca. Lo stesso Hitler – prosegue nel suo racconto l’avv. Mariella Bottaro – coniò per questi militari il nome di IMI (Italienische militar – internieten). Costoro, messi su carri bestiame, (in genere su ogni carro bestiame mettevano 40 militari, come stare e soprattutto come espletare i bisogni fisiologici non era certo affare dei tedeschi!!) furono avviati nei lager. Com’erano questi lager? Non seguivano certo norme igienico-sanitarie! Uno di questi lager (appunto quello in cui fu deportato mio padre all’inizio, perché dopo fu chiuso e mio padre trasferito al lager di Dortmund) era Meppen, che sorgeva su una torbiera umida in cui gli internati erano costretti a dormire per terra, con l’umidità che penetrava nelle loro ossa, e durante il giorno costretti a lavorare per 12 ore consecutive (anche durante i bombardamenti) nelle industrie belliche della Germania nazista sotto la stretta sorveglianza della Wermarcht tedesca: ERANO QUESTI GLI SCHIAVI DI HITLER.”
Chiediamo se costoro avessero un trattamento differente dal punto di vista dell’alimentazione.
“Posso dire, riprende l’avv. Bottaro, che si spaziava tra fame reale e cibo sognato. Il pasto principale era costituito dalla sbobba, una zuppa di rape, e se qualche sentinella della Wermarcht si imbestialiva, prendeva a calci la gavetta con la sbobba di qualche sfortunato prigioniero. Per il resto, gli internati che, ripeto, dovevano lavorare 12 ore al giorno potevano contare su circa 10 grammi di margarina la mattina, 150 g. di pane, qualche patata e qualche infuso di tiglio ed altre erbe. Assumevano giornalmente da 900 a 1500 kcalorie, contro le 2300kc necessarie per lavorare. Ben presto all’interno dei lager cominciò il mercato nero, dove si barattava qualsiasi cosa in cambio di qualche fetta di pane. Il 20 luglio del 1944, dopo l’attentato ad Hitler, Mussolini andava a trovare il Fuhrer ma non affrontava il discorso dei prigionieri italiani, anzi lo invitava a tenerli perché potevano servire all’economia tedesca. Per lui erano solo antifascisti, testimoni di crimini nazisti, che gli avrebbero causato solo malcontento! Voglio sottolineare comunque che dopo il periodo d’internamento, al rientro in Patria ebbero una gelida accoglienza. Claudio Sommaruga a tale proposito scrive che “… gli IMI, reduci dai Lager, non si sentivano eroi perché erano tanti (anche se individuali) e gli eroi per definizione non possono che essere pochi, ma erano fieri di aver compiuto fino ai limiti umani il proprio dovere patriottico e umano, leali all’Esercito, allo Stato legalitario e alla propria coscienza”. Il loro rimpatrio fu accolto con gioia da milioni di mamme, spose, fidanzate, e parenti ma con imbarazzo generale dagli altri italiani: con diffidenza dai politici (fascisti e antifascisti, monarchici e repubblicani, resistenti, dissidenti e attendisti, socialcomunisti e laico/cristiani) e con diffidenza e apprensione dalle autorità, tanto più che gli IMI, per venti mesi, erano stati camuffati dalla propaganda repubblichina come ”collaboratori” e, dall’agosto 1944, come “lavoratori liberi” volontari!”
Quindi com’erano visti questi IMI?
“Per i tedeschi e gli italiani, nei lager e dopo i lager, continua l’interessante narrazione dell’avv. Bottaro, gli IMI erano un rebus di difficile soluzione: di fronte ai tedeschi si dichiaravano “soldati leali di Sua Maestà il Re d’Italia” e ripudiavano coraggiosamente la loro gioventù fascista, ma in cuor loro, soprattutto i più giovani, dopo l’abbandono sabaudo/badogliano dell’“8 settembre”, covavano risentimenti verso la monarchia e segrete simpatie repubblicane! Ma gli interrogativi che tutti si ponevano non trovavano risposte esaurienti: facevano parte dell’esercito fascista e sono fascisti? O piuttosto sono comunisti? I tedeschi gli avranno lavato il cervello, quindi bisogna rieducarli? I repubblichini dicevano che collaboravano coi tedeschi…, sarà vero? Ed al referendum come voteranno? Del resto la monarchia l’8 settembre li ha inguaiati, poverini, fanno pena…, ma chi gliel’ha fatto fare di non firmare… almeno mangiavano… Ecco spiegati i motivi per i quali il governo non sollecitò il rimpatrio dei suoi prigionieri, con sorpresa degli Alleati assillati dagli altri paesi per il rimpatrio dei propri concittadini., e mentre in Italia si facevano feste di beneficenza brindando all’entrata degli Alleati, i militari italiani restavano ad aspettare, al punto che qualcuno pensò li volessero lasciare lì! E quando finalmente gli Imi poterono tornare in Italia passando dai vari centri di smistamento approntati appositamente trovarono un’Italia collassata e piena di disoccupati, così capirono che non c’era posto per loro nemmeno in Patria, così i più ci restarono per poco, forse fino al tempo del referendum del ’46, pure la scuola li ignorava perché nessuno gliene parlava e l’insegnamento della storia si fermava alla Grande Guerra, evitando il “ventennio” imbarazzante e infine, la gente, dopo anni di guerra, non voleva rievocare tristezze! Del resto loro non erano stati arruolati nell’Esercito fascista? Ed il Fascismo non era caduto? Questa, conclude l’avv. Mariella Bottaro, la triste storia degli Imi, psicologicamente e politicamente affossata per mille ragioni, anche se nessuna di queste ha alcun rispetto per la dignità umana. I pregiudizi degli italiani offesero e avvilirono gli IMI che finirono, già traumatizzati dai Lager, a ghettizzarsi tra loro, apolitici ma antifascisti, a rimuovere la memoria del Lager e della loro scelta, buona o meno buona e forse inutile ed a chiudersi in sé stessi, anche in famiglia! Fecero bene gli Imi a comportarsi così? Qualcuno direbbe: Fu vera gloria o vana gloria? Io penso che fu vera gloria, la gloria di chi segue la propria coscienza, indipendentemente dalle conseguenze che ne possono derivare, ancora più qualora il loro racconto riesca a far meditare chi legge la loro storia”.