Riconsegnare alla fruizione un bene di riconosciuto valore storico-architettonico è cosa che deve avere il giusto risalto, considerato anche il fatto che assai spesso beni di tal genere finiscono col perdersi per l’incuria ignorante di chi non apprezza il patrimonio artistico-culturale del proprio “paese”; ben vengano e si moltiplichino iniziative di tal genere; ma – diamocene reciprocamente atto – passano per cosa di particolare interesse eventi che dovrebbe, invece, essere quotidianità.
Non andiamo oltre perché fortemente disturbati a vedere che, a così breve distanza dal milionario restauro, il prospetto del Palazzo sia già in avanzato stato di degrado. Ne avevamo parlato su TERMINAL anni fa.
L’enfasi di quel giorno fausto ha fatto presto a trasformarsi in incuria. Osserviamo, però, che il Palazzo è frequentatissimo per le più variegate manifestazioni; c’è personale addetto che puntualmente ne consente l’ingresso; è in Marina Garibaldi e non in una landa recondita o desolata e, perciò, alla vista di tutti continuamente e viene sempre presentato come palazzo signorile, con un piano nobile. Come se il comune non potesse farne a meno, al punto che lo propone in tutte le salse.
E, allora, incuria di chi? Di noi tutti che abbiamo taciuto ciò che vedevamo ritenendolo ineluttabile; abbiamo tenuto per noi il convincimento che i lavori non fossero stati condotti secondo le regole dell’arte restauratrice senza ribellarci; abbiamo dedotto che chi di dovere fosse meglio titolato a fare proprio il problema, forte del fatto che i lavori (specie quelli pubblici) devono essere condotti secondo regole e tecniche che assicurino durata nel tempo e che la fatiscenza precoce – che sta da tempo aggredendo il Palazzo D’Amico, avrebbe dovuto presentarsi (semmai fosse stato ineluttabile) non all’indomani dei lavori ma nel tempo. Il lasso di tempo che stiamo citando è ovviamente metaforico, ma intendiamo dire che dopo qualche anno già si sono manifestati difetti negli intonaci del prospetto e che qualche rattoppo – nel tempo – è già stato fatto. L’esame attento del prospetto mette in luce interventi successivi alla consegna dei lavori tesi al rifacimento di porzioni di intonaco rigonfio o già caduto.
Chiediamo intanto: le Amministrazioni successive al restauro cos’hanno fatto? e quella in carica, ovviamente incolpevole fino a “ieri”, cosa farà? E l’impresa che ha eseguito i lavori di restauro, è stata coinvolta; si sono applicate le sanzioni che la legge prevede per lavori eseguiti e subito deteriorati per cattiva esecuzione o altro?
Non è compito nostro scendere in questi dettagli, ne abbiamo parlato e dispiace assistere al silenzio di chi dovrebbe far sentire la sua voce; ma il solo intendimento è quello di lanciare l’allarme all’Amministrazione comunale affinché eviti che l’abituarsi a veder degradare quel “monumento” diventi facile acquiescenza e che tutti si faccia ossequio all’ineluttabilità. Si dia corso ad una campagna di controlli anche all’interno dell’immobile e non si frappongano indugi alle decisioni che vanno prese tenendo conto che i tempi, oltre i quali potrebbe decadere la possibilità di attribuzione di ogni responsabilità ai terzi esecutori (in questo caso l’impresa), potrebbero scadere. Bella beffa sarebbe!!! Ma di tempo ne è passato tanto, e ci pare che la beffa ci sia stata…
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