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“NON CI POSSO CREDERE! EPPURE ERA UN BRAVO RAGAZZO!”

“Non ci posso credere”, dicono i vicini. Eppure si è reso colpevole di un omicidio efferato.

“Mio figlio era un bravo ragazzo, studioso, aveva sempre bei voti a scuola”, fa eco la madre, quasi a cercare delle attenuanti.

Ecco l’ennesimo esempio di una società che ha frainteso cosa significhi educare un essere umano. I “bei voti” sono diventati l’ultimo rifugio di chi ha abdicato alla piena responsabilità genitoriale. L’idea che un ragazzo che studia, che rispetta le regole formali dell’istituzione scolastica, sia automaticamente una “brava persona” è una idea che solo in una società terminale può essere sviluppata.

In generale, al di là dei tristi casi di cronaca, i genitori che si aggrappano ai “bei voti” come testimonianza della propria adeguatezza educativa rivelano una terrificante cecità. Hanno delegato alla scuola un compito che è primariamente loro. Convinti che l’andamento accademico sia una sorta di lasciapassare morale, un’assoluzione preventiva.

Passi per i vicini, che non conoscono perfettamente il giovane omicida, ma quando persino un genitore che si trova di fronte all’abisso morale rappresentato da un figlio assassino cerca rifugio nei “bei voti”, ecco che siamo di fronte all’alienazione più totale oltre che al completo fallimento genitoriale.

Un fallimento che, in casi come questo, si paga con la vita di una ragazza innocente. Purtroppo di questi casi ne esistono tanti, e a poco varranno le marce, le scarpette rosse, i mesti cortei, le fiaccolate.

di WI

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