da La Città di Milazzo – dicembre 2008
“Dieci anni di restauri. Ben più di due milioni sin qui investiti oltre al miliardo di lire speso per l’acquisto nel 1989, grazie anche ad un contributo dell’assessorato regionale ai Beni culturali. Milazzo ha atteso anche troppo, ma finalmente la nuova biblioteca comunale di Palazzo DAmico ha aperto i battenti.
L’inaugurazione è avvenuta nella serata di venerdì 12 dicembre alla presenza di un folto pubblico. Presenti autorità, politici locali, associazioni, esponenti della cultura e dell’arte milazzese ma anche tanti curiosi. Cittadini, che per la prima volta avevano la possibilità di fruire di un bene storico di grande rilevanza”.
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Ecco cosa scriveva La Città per presentare un evento di vero rilievo. Riconsegnare alla fruizione un bene di riconosciuto valore storico-architettonico è cosa che deve avere il giusto risalto, considerato anche il fatto che assai spesso beni di tal genere finiscono col perdersi per l’incuria ignorante di chi non apprezza il patrimonio artistico-culturale del proprio “paese”; ben vengano e si moltiplichino iniziative di tal genere; ma – diamocene reciprocamente atto – passano per cosa di particolare interesse eventi che dovrebbe, invece, essere quotidianità. Non andiamo oltre perché fortemente disturbati a vedere che, a così breve distanza dal milionario restauro, il prospetto del Palazzo sia già in avanzato stato di degrado. Come dire che l’enfasi di quel giorno fausto, ha fatto presto a trasformarsi in incuria. Osserviamo, però, che il Palazzo è frequentatissimo per le più variegate manifestazioni; c’è personale addetto che puntualmente ne consente l’ingresso; è in Marina Garibaldi e non in una landa recondita o desolata e, perciò, alla vista di tutti continuamente.
E, allora, incuria di chi? Di noi tutti che abbiamo taciuto ciò che vedevamo ritenendolo ineluttabile; abbiamo tenuto per noi il convincimento che i lavori non fossero stati condotti secondo le regole dell’arte restauratrice senza ribellarci; abbiamo dedotto che chi di dovere fosse meglio titolato a fare proprio il problema, forte del fatto che i lavori (specie quelli pubblici) devono essere condotti secondo regole e tecniche che assicurino durata nel tempo e che la fatiscenza precoce – che sta da tempo aggredendo il Palazzo D’Amico, avrebbe dovuto presentarsi (semmai fosse stato ineluttabile) non all’indomani dei lavori ma nel tempo. Il lasso di tempo che stiamo citando è ovviamente metaforico, ma intendiamo dire che dopo qualche anno già si sono manifestati difetti negli intonaci del prospetto e che qualche rattoppo – nel tempo – è già stato fatto. L’esame attento del prospetto mette in luce interventi successivi alla consegna dei lavori tesi al rifacimento di porzioni di intonaco rigonfio o già caduto.
Chiediamo intanto: le Amministrazioni successive al restauro cos’hanno fatto? e quella in carica, ovviamente incolpevole fino a “ieri”, cosa farà? E l’impresa che ha eseguito i lavori di restauro, è stata coinvolta; si sono applicate le sanzioni che la legge prevede per lavori eseguiti e subito deteriorati per cattiva esecuzione o altro? Non è compito nostro scendere in questi dettagli ma il solo intendimento è quello di lanciare l’allarme all’Amministrazione comunale affinché eviti che l’abituarsi a veder degradare quel “monumento” diventi facile acquiescenza e che tutti si faccia ossequio all’ineluttabilità. Si dia corso ad una campagna di controlli anche all’interno dell’immobile e non si frappongano indugi alle decisioni che vanno prese tenendo conto che i tempi, oltre i quali potrebbe decadere la possibilità di attribuzione di ogni responsabilità ai terzi esecutori (in questo caso l’impresa), potrebbero scadere.
Bella beffa sarebbe!!!