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“PALAZZO D’AMICO: E’ GIA’ DECREPITO!”

IERI CI SIAMO POSTI UNA DOMANDA: “COSA FARA’ L’AMMINISTRAZIONE IN CARICA?”. OGGI SIAMO IN GRADO DI DARE UNA RISPOSTA: NIENTE!

PALAZZO D’AMICO E’ GIA’ DECREPITO: Così titolava Terminal del 20 novembre del 2015 con un interrogativo che riproponiamo giacché ancora – dopo più di tre anni – è purtroppo drammaticamente attuale: “E, allora, incuria di chi? Di noi tutti che abbiamo taciuto ciò che vedevamo ritenendolo ineluttabile; abbiamo tenuto per noi il convincimento che i lavori non fossero stati condotti secondo le regole dell’arte restauratrice senza ribellarci; abbiamo dedotto che chi di dovere fosse meglio titolato a fare proprio il problema, forte del fatto che i lavori (specie quelli pubblici) devono essere condotti secondo regole e tecniche che assicurino durata nel tempo e che la fatiscenza precoce  – che sta da tempo aggredendo il Palazzo D’Amico, avrebbe dovuto presentarsi (semmai fosse stato ineluttabile) non all’indomani dei lavori ma nel tempo. […] ma intendiamo dire che dopo qualche anno già si sono manifestati difetti negli intonaci del prospetto e che qualche rattoppo  – nel tempo – è già stato fatto. L’esame attento del prospetto mette in luce interventi successivi alla consegna dei lavori tesi al rifacimento di porzioni di intonaco rigonfio o già caduto”. Chiediamo intanto: le Amministrazioni successive al restauro cos’hanno fatto? e quella in carica, ovviamente incolpevole fino a “ieri”, cosa farà?”

A proposito di “cosa farà?”, oggi possiamo sostenere senza possibilità di smentita, che nulla ha fatto “l’Amministrazione in carica” e che la problematica del Palazzo D’Amico, che va deteriorandosi dentro e fuori, mai sarà stata all’ordine del giorno se ancora oggi il medesimo si presenta con tutte le sue carenze e non dopo secoli dalla ristrutturazione miliardaria, ma appena nel breve volgere di pochi anni.

Non meno danneggiati del prospetto principale (v. foto) sono quelli  nord e sud nella parte alta.

Anche l’imponente portone di ingresso al Palazzo subisce l’azione del tempo e della salsedine; risente della mancanza di manutenzione ed è costellato di fessure, nei punti di giunzione delle bugne, che andranno via via aumentando in numero ed ampiezza, finché l’umidità e l’acqua che vi ristagna non compiranno, inesorabili, l’opera del disfacimento totale. Sarà questo l’epilogo perpetuandosi il disinteresse e l’incuria.

E’ questo ciò che si vuole? Provvedere al ripristino a regola d’arte di quelle parti di prospetto ammalorate e fare un trattamento conservativo (ripetuto però con sistema, nel tempo) al portone, con prodotti idonei e soprattutto con maestranze capaci e non col primo che “capita”, sarebbe cosa intanto DOVEROSA che comporterebbe tempi ragionevolmente brevi e poco dispendio di denaro. Tardare ancora significherebbe esaltare l’una e l’altra cosa.

I nostri avi, che hanno vissuto il lustro di quel Palazzo, avrebbero sentenziato a  loro modo: “avissuru ‘a lassari soddi ‘a cuntari pì cosi accussì ‘mputtanti e ‘nveci….. si ndi futtunu”.

E non avrebbero torto come non ne abbiamo noi che ancora speriamo in una inversione di rotta allorché si affrontano e si portano alla luce situazioni di tal genere. Fare l’abitudine al degrado, al disordine è cosa pericolosa perché si rischia di ritenere fisiologico di un andazzo di tal genere, accomodante e basta poco per prendere la deriva della acquiescenza che conduce (in questo caso) il patrimonio al disfacimento. E ce ne sono di esempi a Milazzo per temere che ciò possa accadere, al punto da ritenere un preciso obbligo quello di dare spunti utili a chi di dovere, cercando di prevenire la totale perdita del nostro patrimonio. Vi è motivo di essere allarmati e pressanti, al punto da poter essere fraintesi, ma, purtroppo, la verità è tangibile e si chiede a gran voce di non cadere nei soliti errori. Quello che segue non vuole essere un ammonimento e per “rinfrescare” la memoria citiamo velocemente cose concrete: Stazione Ferroviaria  ridotta a macerie,  infestata da sterpi e rovi, ora dimora di ratti e… del malaffare. E che dire del glorioso Circolo Diana che lustro, gloria ed onori internazionali avrebbe continuato a portare alla Città di Milazzo come fece per anni, prima che – ciecamente e con promesse non mantenute – lo si abbandonasse al proprio destino di rudere quale è oggi. E Villa Vaccarino che fine farà? Non è dato sapere; ipotizzare sarebbe velleitario. Ed ancora, i bei villini liberty di Via XX Settembre e Risorgimento ed alcuni storici edifici di Via Umberto I° trasformati in manufatti opinabili che nulla ricordano del passato. Eventi, questi, ben noti a tutti e, prioritariamente, a chi ha consentito uno stillicidio di negatività ad orologeria. Per non parlare di quelle che furono le tonnare di Milazzo, pezzi di storia della marineria milazzese ed oggi memorie archeologiche di tutto rilievo delle quali restano solo ricordi e qualche foto che rievoca i tempi che furono. Dimenticate, ormai cadenti, distrutte o destinate ad altro uso, con oculatezza, amore e lungimiranza, potevano essere annesse al patrimonio cittadino e destinate a musei del mare o ad altro, per la fruizione pubblica, ancorché di proprietà privata. E’ doloroso constatare come all’inerzia della Città, così gestita, non si sia contrapposta giusta energia e lecita determinazione per evitare tutto ciò, ed è ancora più mortificante l’essere stati sistematicamente espoliati, anche di servizi essenziali, trasferiti altrove nel silenzio più assordante: ci riferiamo all’Agenzia delle Entrate – alla ex Pretura divenuta poi Tribunale ed ora affidata alle “cure” di terzi; a taluni reparti del “Fogliani” e, per finire, come se non si fosse già superato il limite della decenza, il decentramento del Servizio 118. Questo bilancio non certo esaustivo e nemmeno esaltante, lascia sgomenti ma, fiduciosi in una sorta di resipiscenza operosa, vogliamo concludere che c’è sempre tempo per rimediare, per mettere un punto fermo e ripartire – finalmente – col piede giusto.

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