Tornando dalla messa vespertina, sabato 18 novembre, avevo salutato papà, dandogli l’appuntamento alle 8 del giorno dopo. Stava immobile, a letto, e da qualche giorno non parlava più. I medici avevano detto che il male aveva preso anche il cervello quindi non pensavamo che sentisse le nostre voci: ma quando gli diedi un bacio sulla guancia, accarezzandolo, mi accorsi che una lacrima gli stava rigando il viso…
Non potevo certamente pensare che sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto in vita, anche se i medici da qualche giorno mi avevano detto che le residue speranze erano svanite… Io, testardo come sempre, fermo nella mia convinzione, presuntuoso, non lo accettavo, e mettevo in dubbio quel che loro stessi asserivano, avendo studiato il decorso della malattia e del male che era progredito negli ultimi giorni. Non contento, volli saperne di più da Attilio, medico e fraterno amico, raccontando quel che i suoi stessi colleghi mi avevano detto; speravo di avere conforto almeno da lui. Chissà quanto gli sarà costato, invece, convincermi che per papà non c’era più nulla da fare e stava andando via per sempre. Attilio mi aveva convinto, ed allora mi arresi. Quel sabato sera, prima di andare a vedere come stesse, mi ero recato a messa, come al solito. Ormai consapevole che stava subendo indicibili sofferenze, pregai Dio di non farlo soffrire troppo, di risparmiargli ancora quel calvario, e glieLo affidai…
Prima di tornare a casa, raccomandai a mio fratello Gianni di stargli vicino, durante la notte.
Erano le 7 del 19 novembre, domenica, quando Gianni mi telefonò. Ero già uscito, chissà perchè, anticipando di un’ora il cambio che sarebbe dovuto avvenire alle 8. Non lo feci nemmeno parlare, e gli risposi che stavo arrivando. Dopo un paio di minuti, il cellulare suonò nuovamente. Nemmeno questa volta lasciai che parlassi, e gli dissi che ero già nelle scale! Mi aspettava davanti alla porta. Vedendomi pronunciò solo: “Papà è morto!”.
Gli feci cenno di stare tranquillo, che c’ero io, che aveva finito di soffrire, e pensai che lassù Qualcuno aveva ascoltato la mia preghiera, e lo avevo portato con Sè.
La notizia della scomparsa di papà, anche se era domenica mattina, fece in pochi istanti il giro della città.
ANDREA SMEDILI, don ANDREA, o, come lo chiamavano in ambito lavorativo, il MAESTRO ANDREA, non c’era più! Si era spento dopo una breve agonia, all’improvviso, perchè il male che da mesi cercavamo di curare lo aveva stroncato, inesorabilmente. All’ultimo saluto, in una chiesa stracolma di persone, ci siamo resi conto, qualora ce ne fosse bisogno, che tutti lo conoscevano, lo stimavano, lo rispettavano. Ed ancora oggi sono in tanti quelli che lo ricordano con affetto.
Era arrivato a Milazzo nei primi anni 50, ed aveva trent’anni. Nel 1955 lo avevamo seguito io e la mamma. Proveniva da Messina, dal prestigioso bar Irrera, e su lui aveva puntato il compianto Francesco Castelli quando inaugurò il locale di piazza Caio Duilio. Già dalla seconda metà degli anni 50 il bar Castelli era destinato a diventare il centro di attrazione e il ritrovo di una clientela sempre crescente e variegata, per cui erano tanti i ragazzi che chiedevano di essere assunti, appena giunta l’età per lavorare (fissata in quegli anni in 10 anni!), dal semplice ragazzo per le consegne a domicilio, all’apprendista banconista, al lavorante in pasticceria, al gelatiere, al cameriere ai tavoli, per apprendere un mestiere. Non riesco a ricordarli tutti per ovvi motivi, ma attorno a papà, che in segno di rispetto e per la sua professionalità veniva chiamato “Maestro”, sono cresciuti i vari Pippo Sergente, Nino Milone, Nino Maiorana, i fratelli Franco e Turi Salmeri, Tindaro Sergente, Vincenzo Cambria, suo fratello Sarino, quindi Vincenzo e Mario Salmeri, Carmelo Maisano, Pippo Santangelo, Sarino Alioto, Franco Salamone, Vittorio Cusumano, i fratelli Romagnolo, figli di Sarino, e tanti altri, tutti più o meno ribattezzati con soprannomi curiosi e simpaticissimi affibbiati il più delle volte dalla clientela. Verso la fine della straordinaria gestione arrivarono da Messina due valenti professionisti: Salvatore Indelicato e Pippo Silipigni, che negli anni del boom economico diedero un notevole impulso alla gastronomia, alla gelateria, alla pasticceria. Di quelli nominati parecchi continuarono ad esercitare la professione appresa, diventando rinomati barman, o specializzandosi in un’arte che avrebbe dato soddisfazioni, continuando a riproporre negli anni i cocktail, le prelibatezze dell’arte dolciaria, le inimitabili granite o i gelati spesso creati all’interno di quel locale. Ancora oggi i “ragazzi” di allora, giunti al Bar Castelli con i pantaloncini corti, anche se hanno da un pezzo superato l’età per la pensione, continuano a divertirsi destreggiandosi nell’arte pasticciera che hanno voluto trasmettere anche a chi ha voluto seguirli per apprendere i segreti: un lavoro oscuro per chi passa ore ed ore chiuso all’interno dei laboratori dei bar, ma ricco di soddisfazioni per il locale che deve spesso la sua popolarità alle gustose delizie preparate da Maestri gelatieri che nel corso degli anni sono riusciti a testimoniare con i fatti una passione mai venuta meno. Un segno di rispetto anche per chi aveva creduto in loro, e la consapevolezza di non avere deluso le attese del vecchio Maestro riempie d’orgoglio tutti quelli che conservano intatto il ricordo di don Andrea, che per decenni aveva lavorato senza risparmiarsi, fra i bar Castelli, Romagnolo, Cambria, avviando anche l’apertura del Washington.
Non esagero se considero papà un barman raffinato, signorile, altamente professionale, ma sono le concordi testimonianze di chi lo ha conosciuto. Un signore di altri tempi, che serviva al banco, ai tavoli, nei buffet o nei numerosi matrimoni con il massimo rispetto del cliente, senza mai prendersi quelle confidenze che, purtroppo, oggi non qualificano certamente i giovani che si alternano dietro i banconi di un bar e si improvvisano barman tuttofare! Sorridente e gioviale, onesto e rispettoso, severo e generoso, disponibile ed intelligente, papà nel suo settore è stato uno dei protagonisti degli anni del dopoguerra, della ricostruzione e del benessere economico, lasciando un’impronta indelebile e segnando gli anni più belli di una Milazzo protesa a cercare il meglio, e ad offrire serietà, competenza, professionalità, rispetto. Potete pure accusarmi di essere di parte, qualsiasi cosa possa scrivere di papà, ma quello era don ANDREA, il Maestro ANDREA, mio padre.
E oggi, a diciotto anni dalla sua scomparsa, lo voglio ricordare a quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato, inclusi quelli che ho voluto citare in questi miei ricordi. papà.