Giovedì 11 maggio, nell’Aula Magna del Polo liceale milazzese “G.B. Impallomeni”, è stato presentato il libro del giornalista antimafia Lorenzo Baldo, direttore del giornale online Antimafia2000, dal titolo “La mafia ordina: suicidate Attilio Manca”, relativo alla tragica vicenda del giovane urologo di Barcellona P.G. trovato morto in circostanze misteriose a Viterbo nel febbraio 2004. L’evento, nato da un’idea di Santo Laganà, assimilato nel progetto scolastico “Cittadinanza attiva e Costituzione” a cura delle docenti Tania Bonfanti e Loredana Stagno, è stato organizzato dall’Associazione culturale “Teseo” di Milazzo, in collaborazione con il Liceo “Impallomeni”. Presenti al tavolo dei relatori, assieme all’autore, il presidente della “Teseo” Attilio Andriolo, la preside Caterina Nicosia e la sig.ra Angela Manca, madre di Attilio Manca. L’occasione è servita come appassionato momento di riflessione intorno ai valori che sempre dovrebbero animare la coscienza civile di un Paese sano, a cominciare dalla solidarietà e dal rifiuto dell’indifferenza e dell’omertà che rende complici del malaffare; e sul ruolo imprescindibile, spettante allo Stato, di garante dei diritti e delle libertà dei cittadini. Tra un intervento e l’altro, due giovani musicisti, studenti del Liceo, Francesco Irrera e Gioele Pandolfo, hanno eseguito, rispettivamente al pianoforte e al violino, prima insieme e poi alternandosi, alcuni brani di musica classica; diversi passi del libro sono stati letti in seguito da un gruppo di alunne e alunni. “La disciplina di Cittadinanza e Costituzione in Italia si fa spazio con fatica – il discorso introduttivo della preside Nicosia -. Il nostro è un progetto che affronta tante sfaccettature della legalità. Come diceva il magistrato Caponnetto: ‘La mafia teme la scuola più della giustizia’. Il libro che presentiamo oggi, scritto con passione ed amorevolezza, rappresenta qualcosa che coinvolge i nostri sentimenti”. Il presidente Andriolo, medico come Attilio Manca, ha sottolineato l’importanza di incontri su temi come questo, che “lasciano una traccia profonda” e devono spingerci a “rivendicare, attraverso la partecipazione, il diritto alla verità e alla giustizia. Abbiamo tutti un debito di riconoscenza verso la famiglia Manca – ha aggiunto -, e con la presentazione di quest’opera intendiamo dar voce e testimonianza ad un collega, un modello da imitare, che amava la vita ed era avviato ad affermarsi come medico a livello internazionale. Vengono fuori pagine di intensa commozione e umanità, ma anche tutta l’efferatezza dell’agire mafioso. Si prova un senso di frustrazione, si rimane annichiliti, piccoli e indifesi di fronte a tanta brutalità; ma anche molto arrabbiati. Lo Stato ha il dovere di tutelare i diritti dei cittadini”.
“Io so, ma non ho le prove”: famosa espressione pasoliniana usata da Lorenzo Baldo a simbolo della vicenda Manca. Si sa che il giovane medico barcellonese è stato ucciso dalla mafia, ma è una verità che non coincide con quella processuale emersa dalle indagini della Procura di Viterbo, caratterizzate da numerosi tentativi di depistaggio, false ricostruzioni, bugie. Secondo la Procura, racconta lo scrittore, Attilio Manca sarebbe stato un drogato abituale e la sua morte da attribuire a un’overdose di eroina. “La verità, forse, si trova in quell’area occulta chiamata ‘zona grigia’, dove la criminalità incontra la politica. La trattativa Stato-mafia cominciava a dispiegare i primi effetti proprio nel periodo in cui si è consumata la vicenda di Attilio”. “Si respira nell’aria uno scontro tra ricerca della verità ed ostacoli di vario tipo – ha proseguito Baldo -. Attilio era un mancino puro ed è stato ritrovato con due fori di siringa sul braccio sinistro. Grazie al lavoro deilegali della famiglia Manca,Antonio Ingroia e Fabio Repici, la Procura di Roma ha aperto un anno fa un fascicolo per omicidio volontario, contraddicendo la tesi di Viterbo che invece ha trattato il caso come una morte per overdose, esempio lampante di schizofrenia giudiziaria non curante delle intercettazioni e dei rapporti di polizia che dimostravano invece chiaramente come la mafia si fosse interessata ad Attilio; arrivando persino a escludere i suoi genitori dalla costituzione di parte civile, in quanto essi, a detta dei magistrati, non avrebbero subito alcun danno dalla morte del loro figlio. I tanti amici e colleghi sanno che Attilio non era un drogato. Il suo corpo parla”. Il cadavere di Attilio Manca presentava fratture e tumefazioni ovunque. E’ evidente che la tesi del suicidio non sta in piedi. Secondo gli avvocati della famiglia, Attilio non solo avrebbe riconosciuto Provenzano durante l’intervento chirurgico, ma soprattutto, come ha precisato Lorenzo Baldo, si sarebbe accorto della “rete istituzionale che per quarant’anni ha protetto il boss di Cosa nostra. Attilio è stato fagocitato in quanto pedina molto pericolosa in un gioco più grande di lui. Probabilmente si è confidato con qualche amico che successivamente ha deciso di tradirlo”. “Non dobbiamo cedere all’indifferenza e alla superficialità – l’appello finale dello scrittore -, comportamenti in cui si annida una forma di mafia. La vera scommessa per il futuro è l’impegno costante e quotidiano di tutti per la costruzione della verità. Fondamentale,in questo senso, è il ruolo della società civile. Tre settimane fa è stata lanciata una petizione via internet rivolta alla Procura di Roma con cui si chiede di proseguire le indagini e non archiviare il caso.Si può firmare sul sito di Antimafia2000 oppure su www.change.org. Bisogna che l’Italia intera faccia sentire la sua voce. Saremo un Paese civile solo quando i familiari delle vittime smetteranno di dover elemosinare ciò che spetta loro per diritto”.
La parola è poi passata alla signora Angela Manca, che ha definito“meraviglioso” il libro di Baldo,“in cui emergono i sentimenti e il carattere di Attilio; è come se lo avesse fatto rivivere” ha dichiarato commossa. “Occasioni come questa, unite alla solidarietà e all’affetto di tante persone, compresi molti ragazzi che mi scrivono da ogni parte d’Italia chiamandomi ‘mamma Angela’, mi danno la forza per andare avanti e non arrendermi di fronte agli ostacoli. La mia non è una battaglia condotta solo in nome di Attilio, ma anche per i giovani che hanno diritto a vivere in uno Stato degno di questo nome”.“Alla Procura di Viterbo non hanno mai chiamato noi familiari come persone informate dei fatti, così come non hanno voluto ascoltare le persone che hanno lavorato fianco a fianco con mio figlio, a cominciare dal prof. Ronzoni, primario del policlinico ‘Gemelli’ di Roma, il quale chiamava Attilio per assisterlo in sala operatoria quando doveva operare persone famose, del mondo dello spettacolo o della politica.Abbiamo subito tante umiliazioni nel corso di questi lunghi anni. Adesso confido nelle indagini della Procura di Roma, sperando che possano restituire dignità a mio figlio. Chiedo a voi tutti di non lasciarci soli e di portare la storia di Attilio fra i vostri amici e conoscenti, perché possa scalfire le coscienze per fare in modo che casi simili non si ripetano più”.
Francesco D’Amico