UN “INCIDENTE DI PERCORSO”, DEFINITO COSI’ PER IRRIDERE IL MALE E PER SCONFIGGERLO. ECCO COSA HA SCRITTO DI QUEL 14 SETTEMBRE 2012 IL NOSTRO DIRETTORE. UNA TESTIMONIANZA CHE INVITA A LOTTARE E A NON AVERE PAURA SE SI GUARDA AVANTI CON FIDUCIA E CON AMORE… DEDICATO A TUTTI COLORO CHE DEVONO SUPERARE UNA PROVA DIFFICILE, AI LORO CARI, A CHI VIVE NELL’ANSIA…
Humanitas, 14 settembre 2012.
All’alba ero già pronto per l’appuntamento. L’infermiera mi aveva raccomandato di svegliarmi alle 5, per i preliminari, prima del viaggio…
Ero sereno, sapevo cosa mi aspettava. Sereno, perché anche quella volta era l’incoscienza a prevalere sulla razionalità. Inutile lasciarsi andare ad ipotesi probabilistiche, per me era solo un incidente di percorso. Mi piacque usare quella definizione, per esorcizzare il male che aveva aggredito anche me. E come me, tanti miei concittadini, e tanti altri che vivono nella Valle del Mela, o sono partiti per il viaggio della speranza… e molti non più tornati…
Un incidente di percorso, da superare; per procedere, ancora una volta, guardando avanti con fermezza, con fiducia, con la voglia di vedere cosa mi avrebbe riservato il futuro… Era già accaduto in passato, in altri campi; ma ero riuscito sempre a superare l’ostacolo e a ripartire.
Sarebbe stato così anche questa volta, ne ero certo…
Lasciai gli occhiali sul comodino, e quando mi spinsero sul lettino per un lungo corridoio, vidi due immagini sfocate che dietro la porta del reparto aspettavano il mio passaggio: mia moglie e mia figlia. Un gesto di saluto, una battuta, “Ci vediamo fra poco”, mentre loro mi raccomandavano di stare tranquillo.
Erano ancora le sei e mezza…
Con lo sguardo fisso verso il soffitto, superavo porte e corridoi silenziosi. Fin quando il mio letto fu “parcheggiato” in una sala immensa, accanto ad altri letti, attorno ai quali era un brulicare di persone. Ebbi l’impressione di trovarmi ai box, prima di entrare in pista e attendere le luci verdi per quell’insolito Gran Premio…
La mia miopia non mi permise di fissare il volto di chi si stava prendendo cura di me. Era una donna. Provai a giustificarmi con lei perché non riuscivo a vederla bene, scambiai qualche battuta, volevo far passare il tempo e non pensare ad altro. Lei mi spiegava quel che stava facendo. Poi mi invitò a fare un lungo respiro… e… non ricordo altro!
Mi ritrovai sullo stesso letto, ma non sapevo quanto tempo era passato. Al mio braccio erano attaccati dei tubicini. Con lo sguardo seguii il loro percorso, e girando la testa intravidi una bottiglia che pendeva alla mia sinistra. Avvertivo una stana sensazione al ventre. Con la mano destra volli toccare… sentivo un cerotto che ricopriva una vasta superficie… Stavo gradualmente riprendendo coscienza, e mi resi conto che avevano già finito, che avevo dormito chissà per quanto tempo, che forse anche questa era fatta!
Aspettavo conferme… Provai a chiedere all’infermiera che si era avvicinata, ma non riuscii a parlare: era l’effetto dell’anestesia, le parole mi si appiccicavano in bocca!
Fu lei stessa a confermare che l’intervento si era concluso.
Non so quanto attesi prima del viaggio di ritorno, per gli stessi corridoi, superando le stesse porte, fino al reparto, con gli occhi a fissare il soffitto.
Dietro la porta, mia moglie e mia figlia erano rimaste ad attendermi. Assieme a loro, altre persone, in attesa.
Mi vennero dietro, fino alla camera.
Per prima cosa mi feci dare gli occhiali, per tornare a vedere il mondo attorno a me… vidi che erano passate più di sei ore, che era già l’ora di pranzo, ma non avevo fame…
Cercavo di parlare, chiedere cosa era successo. Non potevo continuare a dormire, lo avevo fatto per tutta la mattinata.
Ma non ce la feci…
Il telefono, che durante la mattinata aveva vibrato senza risposta, continuò anche nel pomeriggio. Non contai quante volte… Volli rispondere a tutte le chiamate, anche se la voce aveva difficoltà a venir fuori chiaramente.
Pian piano, sarei riuscito a superare l’effetto dell’anestesia, a far sentire la mia voce, a sentirla io stesso…
La notte riposai, pensando che anche questa volta ce l’avevo fatta.
Il giorno dopo l’infermiera che si prendeva cura di me mi chiese come mi sentissi. “Un leone”, fu la mia risposta. E allora mi invitò ad alzarmi. Il primo tentativo andò a vuoto: un dolore lancinante mi impediva di muovermi. Rinunciai, ma avrei dovuto riprovarci. Magari il giorno dopo…
Fu così, infatti. Passarono i primi giorni, fatti di visite e di passeggiate nel corridoio del reparto, tra altri ammalati, tra altri visitatori, tutti nell’attesa di una rassicurazione. di un responso.
Prima di essere dimesso, mi fu consegnato l’esame istologico. L’unica cosa che riuscivo a comprendere erano i valori percentuali. Il tumore, in poco più di un mese, aveva fatto progressi che non lasciavano speranze, se avessi tardato ancora. Fu il primario a dirmi che avevamo fatto bene ad operare. Appena in tempo, pensai. E allora benedissi Franco De Luca, vecchio amico e compagno di scuola, che dal reparto urologia di Barcellona mi aveva invitato a non perdere tempo e a operarmi…
Oggi sono ancora qui… anche se ogni tre mesi devo sottopormi ad accertamenti, grazie a Dio tutti con esito favorevole. Pronto ad affrontare altre prove, a superare altri ostacoli che causano ulteriori “incidenti di percorso”. Basta avere solo la forza di affrontarli, per vincere.
E pregare chi ci è vicino, come in quel 14 settembre di quattro anni fa.
Io lo so chi c’era vicino a me. L’ho visto, anche se dormivo…
Egregio amico mio, “l’ogghiu nta lampa è di ottima qualità” ed anche abbondante. Ti auguro di conservare in ogni momento della tua vita quella carica e quell’entusiasmo che hai dimostrato di avere sempre.Sono le armi piu’ efficaci.