Noi di Terminal siamo abituati a trattare argomenti che meritano attenzione e suscitano (perché no?) dibattiti e commenti, talvolta anche aspri. Lo facciamo dal 2008, quindi da dodici anni, e mai ci siamo sottratti ad un compito che può inimicarci chi non la pensa come noi. E’ un mestiere difficile quello di informare; più difficile è scrivere le opinioni di chi non la pensa come i lettori. Ma nemmeno questa volta vogliamo venir meno al nostro impegno, in nome del diritto di informazione. Piaccia o non piaccia!
Ma veniamo al dunque: non potevamo non parlare di quanto sta succedendo alla Raffineria, della preoccupazione legittima che si respira in quel piazzale pieno di gente, alla faccia degli assembramenti. Era da tanto tempo che non si percepiva una crisi del genere. Dietro quelle mascherine, trapelavano confusione e smarrimento. Tante le persone noncuranti delle intemperie, fuori a manifestare il loro disappunto contro la linea aziendale. E tanti i commenti, che le maestranze si scambiavano, esternando le loro preoccupazioni.
“Immaginavo che saremmo arrivati a questo, ma quando spronavo gli altri a fare di più, a schierarci per difendere il nostro lavoro mi sentivo rispondere che tanto la raffineria non avrebbe chiuso mai”!
“Mi tremano le gambe al pensiero, io per primo non ho nemmeno i requisiti necessari per andare prima in pensione”.
“Il periodo non è dei migliori, è una crisi mondiale”!
Ecco: il posto di lavoro! E queste affermazioni stridono con quelle di altri che mettono in secondo piano il posto di lavoro anteponendo, giustamente aggiungiamo noi, la salute!
Lungi da noi il tentativo di strumentalizzare una situazione che non ha bisogno di polemiche sterili, che poi non portano da nessuna parte. La garanzia occupazionale e il rispetto dell’ambiente possono coesistere, ormai si sta facendo di tutto per una doppia tutela, lavoro e salute. Ma occorre anche guardare in faccia la realtà, cosa che fino a questo momento nessuno ha fatto. Il secondo settore è da sempre quello che determina la ricchezza di un paese, quello che incrementa il PIL, e che in Italia abbiamo iniziato a svendere a favore di altri paesi che alle nostre spalle si arricchiscono.
“Se non ci fosse stata la pandemia tutto questo non sarebbe successo e anche se qualche manutenzione sarebbe stata rimandata, nessuno sarebbe rimasto a casa come non è mai successo. Per questo non capiamo questo forma così estrema che ci è stata riservata” fa eco un altro dipendente dell’indotto. “Chiediamo la solidarietà di tutti i lavoratori perché rivogliamo indietro il nostro lavoro”.
Questa volta a far emergere il problema occupazionale a Milazzo e dintorni è stato un virus invisibile che viene da lontano. Anche il petrolio ne ha risentito, tutti chiusi nelle nostre case a proteggerci da questa minaccia silenziosa (il virus) e l’oro nero che “avanza” perché nessuno usa i mezzi di trasporto; e per mezzi di trasporto non ci riferiamo solo alle nostre automobili, ma agli aerei, alle navi, agli autocarri. Aerei a terra, voli ridotti al minimo; navi che non trasportano nè passeggeri nè merci; autocarri che lentamente cominciano a spostarsi, ma sono in numero insufficiente per svuotare i serbatoi. E poi, gli autobus, tantissimi, che giornalmente percorrevano milioni di chilometri con turisti, pellegrini, sportivi, studenti, pendolari!
La ricaduta è stata inevitabile e a farne le spese l’intero indotto della Ram. Troppa gente, troppo petrolio, troppa perdita economica. Tutti gli interventi di manutenzione rimandati… tutti i colossi hanno subito una battuta d’arresto e queste sono le conseguenze; la gente rimane a casa ad aspettare che il vento giri. Gente incredula di fronte il proprio badge oscurato dopo una vita di lavoro lì dentro.
Purtroppo, per chi ha solo uno stipendio come fonte di sostentamento il tempo non è il migliore alleato! Non può aspettare che i mercati decidano di ripartire, che il traffico riprenda, che il turismo faccia muovere aerei, navi da crociera, autobus; che il pieno nella macchina divenga nuovamente indispensabile.
Le certezze che ci vogliono sono altre.
Essere felici perchè alla raffineria, grazie al coronavirus, si sta arrestando la produzione non è la cosa migliore. Qui il rischio è lo scontro di due anime: quella che vorrebbe la chiusura dell’industria, e quella che non vuole perdere il lavoro; e che non sarebbe solo nel settore industriale, come sta accadendo in altri campi!
Stiamo analizzando i fatti, amici! Ma sapete cosa ci dimostrano il periodo e la situazione che nello specifico stiamo vivendo? Che non saranno di certo articoli, manifestazioni e altri marchingegni a tessere le sorti di una grande industria come la Raffineria di Milazzo o qualunque altra realtà economica di un’altra qualunque città. Sono gli azionisti che decidono, che muovono le fila. D’altronde si tratta dei loro soldi. Sicuramente il dialogo porterà ad una soluzione che non lasci “vittime” a terra ma le troppe chiacchiere consumate in questi anni dovrebbero, alla luce di quanto sta succedendo adesso, farci riflettere. Non quelle riflessioni di cui abbiamo le tasche piene, fatte di luoghi comuni e ripetute solo perché le abbiamo sentite dire a qualcuno che alzando la voce si ha ragione!
Qui c’è in ballo la sorte di padri di famiglia, di Milazzo e dell’intero interland, che vogliono garantire un futuro “sostenibile” ai propri cari. E’ questo il momento di sedersi e discutere una volta per tutte cosa si ha intenzione di fare, dei progetti, di abbassare le barricate.
Attenzione: parliamo di abbassare le barricate, non l’attenzione. Da troppo tempo circola l’incertezza che si è palesata adesso. Occorre che le teste pensanti adesso siedano ad un tavolo a risolvere una volta per tutte la situazione perché non c’è tempo da perdere. Quegli uomini dietro le mascherine, nel piazzale sotto le intemperie, hanno fatto capire che la situazione è tragica!
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