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SAVERIO RIZZICA, TRE ANNI DOPO…

saverio rizzicaERA L’11 GENNAIO 2017.

E’ STATO TERRIBILE PER SAVERIO, DA TEMPO AMMALATO AD UN POLMONE, accorgersi che non gli era possibile respirare… Attimi tremendi, cercando disperatamente un aiuto che nessuno poteva dargli! Attimi che non riusciamo nemmeno a descrivere, perchè in certi frangenti non ci siamo mai trovati e non sappiamo cosa significhi morire! 

Saverio Rizzica non aveva compiuto 70 anni. Era un lavoratore instancabile, ma preferiamo ricordarlo ancora giovane e spensierato, in quel bigliardino di don Govannino in marina Garibaldi. Arrivato da poco a Milazzo con la sua famiglia, passava ore interminabili a sfidarsi con altri coetanei. Perdeva, vinceva, poi riperdeva. E alla successiva rivincita, tornava a vincere. Alto, biondo, fisico asciutto, si era innamorato di Pina. E da lei, quando si era sposato, aveva avuto due figli. Con una famiglia, con responsabilità sempre crescenti, Saverio lavorava in Raffineria, negli anni del benessere. Lo trovai, negli anni della Petrochemical, fra i 300 e più nuovi colleghi: guidava l’autobus per portare i dipendenti sul posto di lavoro, e svolgeva altri compiti con i mezzi pesanti. Me lo ritrovai a Saline Joniche, nell’industria delle bioproteine, quando alla fine del 1977 ero stato trasferito per chiudere il cantiere e mettere in cassa integrazione decine di dipendenti calabresi, illusi da un miracolo economico che faceva parte di un disegno politico ai danni del popolo reggino! Chiusa quella cattedrale nel deserto, partì anche lui. E lo incontrai ancora una volta ad Algeri, dove anche io ero stato mandato. Mi raccontò le sue vicissitudini, i frequenti giri da un cantiere all’altro, la crisi che si profilava all’orizzonte. Tornati a casa, dopo diversi anni con le valigie sempre pronte, prendemmo strade diverse.

E un giorno lo incontrai per l’ennesima volta con un autocarro, con due figli da crescere, senza più una moglie, scomparsa prematuramente. Mi confessò che preferiva andare avanti e indietro per l’Italia e l’estero, padrone della sua vita e del suo lavoro, piuttosto che dipendere sempre da altri, senza una prospettiva concreta di futuro. Passavano gli anni, e anche se Saverio non era più quel giovanotto biondo, dal fisico asciutto, che sfidava i suoi coetanei nel bigliardino di don Giovannino, aveva conservato il carattere cordiale e scanzonato della giovinezza. Un saluto, un abbraccio, i soliti “ti ricordi” per rivedere vecchi amici nei cantieri, sapere che molti erano già andasti via per colpa di un male giunto nella nostra terra assieme all’industria. E pronto per una nuova partenza… In attesa del ritorno, chissà dopo quanti giorni, per rituffarsi nella sua Milazzo che lo aveva accolto quasi cinquant’anni prima…

Poi, l’ultimo viaggio. Questa volta per una destinazione che non consente ritorni. Accanto a lui la seconda moglie, Ursula, che aveva conosciuto durante uno dei tanti viaggi all’estero e aveva sposato, dopo anni che era rimasto vedovo. A lei ha detto “Ursula, non respiro più…“. Il tumore al polmone, con il quale conviveva e che non era riuscito a debellare, perchè inoperabile, lo aveva sconfitto. Gli ha dato la certezza che era giunto al capolinea, che aveva perso. Come accadeva spesso in marina, ai bigliardini di don Giovannino. Lì c’era la rivincita, subito dopo, e poteva anche vincere. Ma qui no… Saverio ha perso l’ultima partita, si era accorto che stava perdendo, e non ha potuto far nulla…

Anche molti di noi perderanno la loro partita, prima o dopo… Senza la possibilità di una rivinciata, senza alcuna certezza di potere debellare quel male giunto a sorpresa in questa città, in questa Valle del Mela, assieme al benessere … 

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