Home / MILAZZO / STORIE DI FANTASMI A MILAZZO: UN CASO ALQUANTO STRANO…

STORIE DI FANTASMI A MILAZZO: UN CASO ALQUANTO STRANO…

Di Pietro TORRE

Un mio coetaneo, rincontrato dopo molti anni, dopo aver letto alcuni miei articoli pubblicati in questi anni da TERMINAL sui misteri di Milazzo, mi ha detto: “Non credo nei fantasmi e tanto meno negli ufo, penso che tutta la nostra vita si svolga qui, in questo mondo di cattiverie e di superbia, dove conta solo l’io ed il resto è solo gente che si cerca di usare o sfruttare. Spesso la suggestione o la mancanza di dati reali inducono in errori e col tempo la mente ingigantisce e cambia i ricordi. Anch’io, quando ero ragazzino, di cinque o sei anni, ho vissuto un’esperienza alquanto strana, forse spiegabilissima, ma certamente curiosa. Ricordo che era notte e con i miei genitori stavo percorrendo la strada che dalla stazione ferroviaria di allora porta al centro, dove a quel tempo abitavamo. Eravamo di ritorno da Palermo dove c’era stato il funerale di un nostro parente ed avevamo preso un treno verso l’imbrunire che avrebbe dovuto arrivare a Milazzo in serata. Ma, come spesso accadeva allora (e succede anche ora) il treno accumulò un notevole ritardo. A Sant’Agata di Militello, a circa metà percorso, avevamo dovuto cambiare treno perché allora la linea Palermo-Sant’Agata era a carbone, mentre quella da Sant’Agata a Messina era elettrificata. Saliti sul nuovo convoglio, che rimase fermo per un bel pezzo, mi addormentai e fui svegliato quando il treno stava per fermarsi alla stazione di Milazzo, con un ritardo di ore. Qui, di solito, c’erano le carrozzelle col cavallo che attendevano i viaggiatori in arrivo, ma a quell’ora la piazzetta di piazza Marconi, dove di solito si riunivano le vetture per portare la gente a casa, era deserta; non ci restava quindi che incamminarci a piedi. Eravamo arrivati all’altezza della farmacia Castelli (che anche oggi è nello stesso punto) quando udimmo un rumore proveniente dall’ampia banchina del porto, illuminata dalla luce fioca di qualche lampione, dove una distesa di botti attendeva l’arrivo della nave che le avrebbe trasportate in altre città: quelle botti, mi spiegò un giorno mio padre, contenevano scorze di limone, un agrume abbondante dalle nostre parti, prima che la raffineria si prendesse quelle terre dove abbondava, facendo finire quel delizioso profumo di zagara che nella tarda primavera deliziava l’olfatto di chi passava da quelle parti (oggi ci sono, purtroppo, ben altri olezzi!). Ma torniamo alla nostra storia. Fra quelle botti, più lontano rispetto a dove eravamo noi, troneggiava un grosso container, un parallelepipedo di metallo di almeno 3 metri di altezza, lungo sui 5 e largo sui 2 (ma potrei sbagliare, sia pur di poco). Il rumore doveva provenire da lì: ad un certo punto notai che la grande lamiera esterna si era come contratta come se un enorme corpo ovale (invisibile) premesse su di essa, quindi la lamiera si ridistese producendo un forte e sordo suono metallico, che venne sicuramente amplificato dalla zona ampia ed aperta. I miei non dissero nulla, ma affrettammo il passo e quasi di corsa alla fine arrivammo a casa. Cosa penso? L’unica spiegazione è che l’escursione termica abbia fatto prima contrarre e poi distendere la lamiera metallica, ma certamente un bel po’ di paura ci fu.

Commenti

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.