Continua ad aprirsi il sipario dell’Auditorium di Pace del Mela per la stagione del Teatro dialettale della Compagnia Grammelot di Fabio La Rosa
Ritorna Fabio La Rosa con il suo dramma in lingua siciliana e porta sulla scena l’Erma bifronte della vita, fatta di contraddizioni, fatta di ingiustizie, ma sempre bella, unica, se vissuta sino in fondo con una costante che allevia ogni sua bruttura: l’Amore. Conosco Fabio La Rosa attraverso i suoi lavori nei panni di autore, regista e attore, capace di creare e dare un significato ai suoi personaggi.
In questo dramma che poi ha un suo lieto fine, Fabio la Rosa realizza un plastico delle ingiustizie della vita, e con una punta di sadico piacere mette in risalto come i comportamenti di colui o coloro che vivono nell’agio siano sempre frutto di un torto o siano il “male”. Due fratelli, dopo la scomparsa del padre in guerra e la morte della madre, vivono in condizioni apparentemente diversissime: uno nell’estrema povertà e l’altro negli agi e nell’abbondanza. Natalinu, quello indigente, ha una moglie grassa ed esuberante Pascalina e una figlia Agata magrissima per la fame e bigotta, sempre con il rosario in mano che prega per trovare un fidanzato. Luigi, la cui moglie si chiama Martina, donna con passato e presente assai discussi e discutibili, ha una figlia Camilla dal primo matrimonio e Maristella dal secondo. Tra i due fratelli e le loro famiglie non corre affatto buon sangue per il differente tenore di vita che genera tra loro gelosia, rabbia in Natalinu e ostinato, insensato rifiuto in Luigi che si vergogna di avere parenti così dimessi, ma ai quali non offre una briciola di aiuto.
La “commedia” si snoda in scene esilaranti per la continua rivalità, i costanti affronti che Natalinu subisce da Luigi che, succube della moglie Martina, ha dimenticato anche il suo affetto di padre verso Camilla, la prima figlia che vive con loro, trattata come una “sguattera”.
Natalinu, malgrado la povertà, il digiuno e la miseria riesce ad essere generoso e a dividere le sue briciole con don Turiddu, un povero vecchio che si aggira nei dintorni delle due case.
Insomma il dramma dell’ingiustizia terrena che si sviluppa tra lusso con cattiveria e miseria con bontà e generosità. Ma la ruota gira, la sorte cambia e presto i ruoli, grazie alla verità di don Turiddu, si sovvertiranno, e la Giustizia comincerà a segnare un percorso diverso.
Le scene che si succederanno, creeranno un continuum di sorprese che terrà alta la tensione e il divertimento del pubblico, mentre la vicenda di un personaggio speciale, Laura, interpretato da un’artista di grande fama, in questo spettacolo in cui tutti gli attori hanno saputo recitare egregiamente, Donatella La Macchia, ha dato luogo allo spettacolo nello spettacolo.
L’attrice ha interpretato la parte della donna che ha creduto nell’Amore, purtroppo capriccioso e ingiusto, che ha pagato per questa fiducia mal riposta, che vive disincantata e quasi spenta in quella vita. Fabio La Rosa la presenta sulla scena come una statua, che si anima via via che comincia a riaccostarsi agli esseri umani e a rendersi consapevole della loro fragilità, a comprendere che il male può essere sconfitto dal bene; ed ecco che la considerazione e l’affetto di un giovine pulito, comprensivo e fiducioso, pian piano le restituisce la vita. Donatella mi ha colpito per il suo esordio da “manichino senza anima”, che incarna quelle donne cui è stata strappata la dignità; le sue movenze meccaniche e maligne prima, diventano umane quando l’alito d’amore comincia a darle vita.
Tutti bravi gli interpreti con le caricature dei personaggi che Fabio La Rosa propone nei suoi lavori per far marcare i vizi e difetti dell’uomo spesso abbagliato da false chimere, ma anche i pregi che ci riportano all’Umanità, quella vera , grazie anche a quel “dialetto siciliano” pregno della nostra tradizione culturale, che attraverso “i ditti” e le colorite descrizioni riescono a risvegliare “la calda Sicilianità”, velata dalla fredda modernità
Rita Chillemi.