CI CONTINUA A SEGUIRE IL NOSTRO PAOLO TIRANTE, E ROMPE IL SUO LUNGO SILENZIO CON UNA LETTERA CHE E’ UN GRIDO DI DOLORE E DI ALLARME, LONTANO DALLA SUA MILAZZO.
Egregio Direttore, Le scrivo dalla Lombardia; mi trovo qui, per lavoro e quindi “costretto” in prima persona a testare e tastare con mano (guantata naturalmente), il dramma che stiamo vivendo tutti, come italiani, e regionalmente, perché tutto, qui, come spesso accade, è moltiplicato per mille. Nel bene come nel male. Siamo partiti per primi, in questa corsa maledetta. E Le assicuro che è una lotta titanica, inimmaginabile; anche nei peggiori degli incubi.
I primi momenti, vissuti con sbigottimento ed incredulità, ci hanno inizialmente stordito, poi impauriti, per poi terrorizzarci. Una situazione ed una realtà estrema che non tutti, lo confesso, siamo riusciti a percepire, nella sua drammatica realtà, né bastavano i morti, padri, madri e figli di qualcuno che non conosceremo, probabilmente mai, ma che per qualche attimo son stati nostri fratelli e sorelle, a rallentarci ed a farci comprendere. Ci son voluti i primi decreti, le prime zone rosse a metterci in riga. E qui, lo confesso, escludendo alcune “categorie” della nostra società, la maggior parte, si è allineata. Scalciando, urlando, ma sempre in riga, come ogni contesto sociale, in caso di emergenza, richiederebbe.
Adesso le ambulanze passano, ma con ritmi sempre più rarefatti. Erano diventate compagne di “vita” e distrazione disperate delle lunghe, lunghissime giornate. Giornate riempite inizialmente di ogni cosa, per abbattere la paura ed il vuoto, di una vita, che sino a qualche giorno prima, ritenevamo non essere bella, ma stressante e troppo frenetica. Abbiamo frenato di colpo, abbiamo gettato l’ancora, e tutto di un tratto, ci siamo arenati ad orari che non avevamo mai vissuto e sopravvissuto realmente, se non nei nostri sogni o desideri quotidiani; quando i ritmi e gli appuntamenti, le scadenze, ci tempestavano ogni ora e non avevamo spazio, nemmeno per urlare. Adesso, dopo aver dato fondo ai nostri immaginari momenti del: se avessi tempo, farei, ci ritroviamo quotidianamente immersi, anche senza volerlo fare, nella tragedia ripetuta, dei racconti dei mille esperti, che ogni ora ci ricordano che si muore, che non si esce e che del “doman non v’è certezza”!
Siamo un popolo strano, magnifico e bastardo. Siamo un pezzo unico, e mille frammenti. E la filosofia del: “fino a quando non mi succede nulla, non mi preoccupo”, alla fine ha generato l’ennesimo mostro di superficialissima visione del mondo. Persone che per un comprensibile senso di paura, se ne fottono, e innescano una serie di eventi con il solo spostarsi. Muovendosi generano il contagio, muovendosi generano l’odio, di chi, non sapendolo, ti si avvicina e tu, bastardo, gli regali un biglietto della lotteria con la salute, e la vita, la sua. Perché se tu sai che sei malato, lui non lo sa, e non sai nemmeno quali problemi, fisici e pregressi, possa avere, che possono generare complicazioni serie, magari la vita stessa, messa sul tuo piatto della vigliaccheria egoistica, e condannarlo.
Non vi racconterò dei colleghi che sono immersi in questo dramma, perché noi, quando andiamo a fare formazione, a seguire le nostre aziende, entriamo in contatto con il mondo, e nessuno di noi, a posteriori, sa o saprà mai chi hai incrociato. Questo dramma dovrebbe essere alla base delle valutazioni di tutti.
Oggi leggo di due furbi che, grazie alla larghezza delle maglie di chi dovrebbe controllare, ed al compiacente occhio chiuso di qualcuno, son scappati dalla quarantena, per andarsi a nascondere su di un’isola, più piccola ancora di quella nella quale si trovavano già. Chissà se ha sfiorato l’idea che i soccorsi, in caso di peggioramento, potrebbero avere difficoltà a raggiungerli, nascondendosi su di uno “scoglio” in mezzo al mare. Chissà se hanno pensato che mettono a rischio la salute degli isolani che li nasconderanno, sino a quando non verranno magari scoperti. Probabilmente no, perché i vigliacchi ed egoisti, queste cose non le fanno, non pensano, per lo meno, al plurale.
Potrei citarvi degli effetti collaterali dei farmaci usati per combattere questo virus. Ma lo evito, sarebbe fiato e tempo sprecato; ma ne sarei capace, ve lo assicuro.
Chiudo con un ultimo pensiero, legato alla lentezza, a distanza quasi inettitudine, di una amministrazione incapace di prendere delle decisioni serie e forti. Ci sarebbe molto da discutere sui modi, delegati ed impauriti, nel proteggere la propria gente ed il proprio territorio. Probabilmente sono gli ultimi spasmi di una amministrazione che ha deluso parecchio; le motivazioni le dirà e darà il tempo. Di certo, aspettare che arrivi un’indicazione dall’alto, su cosa fare, per poi non esporsi, la dice lunga sulle capacità di gestire un’emergenza sociale e sanitaria. Sorvolo che il primo cittadino è il responsabile della salute e sicurezza dei propri amministrati. Ma qui dovrei parlare di politica, ed a vedere come sta messa la mia amata Milazzo, sarebbe un infierire, ulteriormente.
Grazie come sempre per l’ospitalità, ed auguri, sinceri, che tutto si risolva presto.
Paolo
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