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UN OMBRELLO ROSSOBLU

Ci sono storie nel calcio che non sanno di moduli, ripartenze, ma di amore infinito per un papà, che ti ha insegnato molto nella vita, ma che al momento dell’addio ti chiede solo di rimanere fedele ad un sogno, il suo, quello della bandiera gloriosa del Milazzo.

A Milazzo c’era una famiglia, in cui il padre non aveva nè vizi né difetti, ma coltivava una passione: quella smisurata per la squadra di calcio locale, che con alterne fortune militava in promozione. Tutti i giorni Don Fano, così si chiamava il nostro capofamiglia, prendeva la sua scassata lambretta con la marmitta che scoppiettava a più non posso per le strade in gran parte sterrate di Milazzo, con la mogliettina seduta dietro e si recava al campo “Grotta di Polifemo” per assistere all’allenamento della squadra del cuore. Ogni tanto quando i giocatori arrivavano sotto la sua postazione, situata in gradinata, gli lanciava un grido d’incitamento a fare meglio la domenica successiva oppure scambiava qualche opinione sull’impegno dei giocatori con la moglie. Diceva: ” A’ oggi pari che hanno a landa” . “A landa? A buatta” rispondeva la moglie,  uscitando le risate dei tifosi presenti sugli spalti del Grotta Polifemo in quel momento.

Finito l’allenamento, i due, marito e moglie, partivano con la lambretta e ritornavano a casa. La domenica invece il buon padre di famiglia, don Fano, si faceva accompagnare dal figlio più grande, Aldo, fin sulla gradinata ad occupare quel posto, che a sua volta occupava suo padre, come se glielo avesse lasciato in eredità e per una sorta di “passaparola” i tifosi erano a conoscenza di questa storia e lasciavano libero quel posto. Durante l’inverno don Fano soleva recarsi la domenica al campo sportivo portandosi dietro un maxi ombrello per riparare se stesso, ma soprattutto il figlio Aldo, dalla pioggia.

Durante un derby storico con i cugini barcellonesi dell’Igea Virtus l’arbitro diede un calcio di rigore agli avversari, scoppiò una rissa in campo e sugli spalti e don Fano cercò con il suo manico d’ombrello di colpire l’arbitro senza riuscirci, ma il manico dell’ombrello si ruppe e cadde al di là della rete di recinzione. Il povero Don Fano, immaginando l’arrabbiatura della moglie, nel vederlo arrivare con l’ombrello privo del manico, cercò di nascondere l’arma impropria sotto l’impermeabile, ma il piccolo Aldo non perse tempo a raccontare alla mamma che fine avesse fatto il manico dell’ombrello. Naturalmente le grida della donna si sentirono fino alla spiaggia di ponente e il povero don Fano fu lasciato a digiuno quella sera per punizione.

Negli anni a seguire la coppia, papà e figlio, non mancarono una domenica, quando il Milazzo giocava fra le mura di casa, ma un giorno don Fano improvvisamente ebbe un malore e fu ricoverato in ospedale. Aldo lo andò a trovare nel suo letto d’ospedale tutti i giorni anche la domenica ma quando il Milazzo giocava in casa, entrambi, il papà a letto e lui seduto accanto, ascoltavano dalla radiolina la cronaca della partita del Milazzo. La malattia non diede scampo e così don Fano un giorno chiamò il figlio al suo capezzale e nell’orecchio gli sussurrò di fargli una promessa: ”Continua anche da solo ad andare tutte le domeniche al Grotta di Polifemo a tifare per il Milazzo”.

Aldo con le lacrime agli occhi abbassò la testa in segno affermativo e fu così che don Fano potè salutare tutti sereno con un lieve sorriso sulle labbra.

Per molti anni ancora Aldo continuò a tenere fede al giuramento fatto al padre, ogni domenica si recava al campo di calcio e nei mesi invernali si portava dietro un ombrello, come faceva suo padre.

Venne il giorno del matrimonio, fu costretto a trasferirsi a Messina per motivi di lavoro e per favorire i figli nello studio. Il suo grande cruccio era però non poter andare la domenica a tifare per le aquile rossoblù. Non riusciva a rassegnarsi all’idea di venire meno a quella promessa fatta sul letto di morte a suo padre, cosicchè cominciò a studiare gli orari dei treni e dei pulman di linea che collegavano Messina con la città del Capo.

Alla fine  riuscì a incastrare tutte le coincidenze e gli orari per andare e tornare in giornata e avere il tempo di vedere la partita.

Chiamò i due nipoti che abitavano a Milazzo e li pregò di andarlo a prendere alla stazione ferroviaria o dei bus per poi riportarlo subito dopo il triplice fischio di chiusura dell’arbitro. I nipoti furono entusiasti della decisione dello zio, a cui erano molto affezionati e così ogni quindici giorni il nipote andava a prendere lo zio alla stazione o al porto a seconda che arrivasse con il treno o con l’autobus e  lo portava a casa a pranzo, mentre lo zio Aldo ricambiava con un vassoio di freschi cannoli, anche se qualche volta capitava che il vassoio gli cadesse dalle mani e i cannoli andassero fracassati per terra.

Per fortuna questa storia, che vi ho voluto raccontare, è continuata fino ai giorni nostri. Cosicchè Aldo imperterrito a domeniche alterne si siede sugli spalti del “Marco Salmeri”, così hanno chiamato da qualche anno il “Grotta Polifemo”, ad incitare i ragazzi in rossoblu e ad inveire contro l’arbitro, quando sbaglia, ma in cuor suo sa che don Fano con il suo ombrello senza manico lo guarda da lassù compiaciuto.

Ah dimenticavo: quanti anni ha il nostro Aldo? 

Ne ha compiuto da poco 82, ma finchè avrà un ombrello per sostenerlo, lui non smetterà mai di gridare ”Forza Milazzo”.

Attilio Andriolo

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